Tatticamente – La non lettura (della gara) di Gattuso
È stata partita vera Napoli-Cagliari, combattuta, agonisticamente ricca di contenuti. È stata anche la partita di Osimhen, almeno fino a un certo punto, sino all’infortunio: lui l’unico giocatore del Napoli a tirare in porta seriamente, con pericolosità. Al di là del gol, infatti, il nigeriano è apparso in forma, voglioso come al solito nel lottare su ogni pallone: ha sfiorato più volte la personale doppietta e dunque la rete che avrebbe chiuso i giochi, evitando la beffa finale di Nandez. Uscito Osimhen, è uscito anche il Napoli, s’è letteralmente spento, rintanato negli ultimi sedici metri, subendo gli assalti di una formazione che per quanto abbia delle buone individualità è comunque in lotta per non retrocedere. Gattuso ha il demerito di non aver saputo indovinare un piano tattico alternativo al tipo di calcio che stava ben riuscendo con l’ex Lille in campo: eppure ha una rosa finalmente al completo e ricca di risorse, anche dalla panchina. Ancora una volta entra Mertens, ma è svogliato il belga nell’atteggiamento: forse sarebbe stato più utile un ariete come Petagna, abile a tenere la squadra un po’ più alta e gli avversari meno vicini alla porta di Meret. Così non è stato e la decisione di preferire Mertens a Petagna, sebbene tra i due il secondo sia più prima punta dell’altro, dimostra che non è poi così vero che il tecnico calabrese non guarda in faccia a nessuno: anche lui si lascia influenzare dai nomi e non riesce a tenere fuori una bandiera di questo Napoli, il miglior goleador della storia, ma che in questo momento non è particolarmente funzionale alla causa, specie se chiamato a tenere palla e far respirare i compagni. Dopo Lazio e Torino, il Napoli non è riuscito a ripetere certi picchi prestazionali che ci avevano fatto credere che oramai la squadra di Gattuso fosse in grado di arrivare serenamente al traguardo Champions. A guardare le statistiche del match, gli ospiti non hanno assolutamente rubato nulla al Maradona: gli uomini di Semplici hanno tirato persino una volta in più verso lo specchio (7 conclusioni a 6), ma in generale hanno saputo tenere sempre sotto controllo una gara che avrebbero meritato di pareggiare già nel primo tempo, colpendo prima un palo e poi centrando in pieno Meret, in entrambi i casi entrando direttamente dentro l’area del portiere. Molle la prova del Napoli, lenti a centrocampo e leziosi in attacco, come a Torino col Toro una settimana fa: col Cagliari, però, nonostante abbiano trovato di fronte un avversario con le medesime ambizioni di classifica, hanno fallito il colpo del ko. La botta alla testa di Osimhen ha rappresentato una mazzata emotiva per il Napoli, che ha rinunciato ad attaccare e badato solamente a portare a caso una vittoria di misura, sofferta. Da questa analisi c’è una buona ed una cattiva notizia: la buona riguarda il fatto che la squadra sta finalmente abituandosi a giocare per Osimhen a tal punto che quando il nigeriano non è in campo ne risentono tutti ed il Napoli smette di giocare; la cattiva è relativa ad un piano-gara che rischia di essere improvvisamente Osimhen-dipendente. E quando qualsiasi squadra di calcio dipende esclusivamente da un solo giocatore, passando dal dominare le partite (con quell’uomo in campo) a soffrire maledettamente quando quel singolo non c’è più, c’è da essere contenti soltanto a metà: da un lato il Napoli si sta ritrovando tra le mani un giocatore già decisivo a quell’età e dopo metà stagione saltata per vicissitudini varie, dall’altro deve rendersi conto che dalla prossima sessione di mercato servirà individuare subito un vice-Osimhen, un altro numero nove esattamente con quelle caratteristiche, in modo da non costringere la squadra a dover reinventare – a seconda di chi sia il centravanti – il proprio modo di giocare. È troppo importante quel ruolo nel calcio: sposta punti, fa vincere i campionati, orienta le partite, condiziona il modo di stare in campo dei compagni: Osimhen è l’unico attaccante del Napoli, insieme a Lozano (che non è ancora in condizione), in grado di allungare la squadra, di mettere paura agli avversari per il semplice fatto che è presente, è il primo a fare pressing e a lottare su ogni pallone, anche su quelli che sembrano persi o sui quali non tutti avrebbero la forza di andare con tale determinazione.



