OTTAVIO BIANCHI: "IL MARTELLO DI BERGAMO ALTA"

OTTAVIO BIANCHI: "IL MARTELLO DI BERGAMO ALTA" src=
Così ( affettuosamente ? ) lo chiamavano Maradona e c. nell’ epoca d’ oro fra il 1985 ed il 1989. Ma scorbutico o no, "nordista" e per lo più lombardo ( in bene e in male ovviamente ) inteso in stretto senso letterale, tremendamente sempre troppo serio nella sua "missione " di uomo di campo, poco avvezzo ad inutili smancerie, ma sempre ed irrimediabilmente onesto, ne ha fatta di strada da quando vide la luce a Brescia il 6 ottobre del 1943. Padre tipografo , madre casalinga con altri due figli a carico, il buon Ottavio a 16 anni comincia a lavorare insieme al padre, non trascurando però di vivere l’ emozione di sgambettare su un prato verde correndo appresso ad un pallone. Viene notato dai dirigenti del Brescia che lo aggregano alle giovanili per farlo esordire già a 17 anni in serie B nel corso del campionato 1960 –’61. Il giovane Ottavio comincia in cuor suo a sperare che il sogno di diventare un giocatore "vero" forse sì, chissà, potrebbe anche avverarsi. Ma ecco subito una tremenda mazzata : in un contrasto di gioco si lacera i legamenti del ginocchio. Il sogno sembra svanire ancor prima di cominciare, ma la sua ferrea volontà gli consente di superare questo terribile momento recuperando in pieno le forze in tempo per essere uno dei protagonisti nella cavalcata trionfale che promosse in serie A anche il Napoli insieme alle "rondinelle" nel 1965. La leggenda narra che stringesse tra i denti uno stecco di legno nei dolorosi esercizi rieducativi per tornare ad essere un giocatore. Proprio nel corso di quel campionato quel tignoso mediano alla "Stiles" ( campione del mondo in Inghilterra ) viene adocchiato dai dirigenti azzurri, che l’ anno seguente dopo il suo esordio con 26 partite e sei gol nella massima serie, viene acquistato dal Presidente Fiore insieme ad un altro bel manipolo di giovani. Gran temperamento, laterale sette polmoni con discreta propensione al gol ( 14 in 108 partite in riva al golfo), in un Napoli votato all’ attacco data la presenza di Sivori e Altarini, le sue caratteristiche da " tamponatore " votato alm sacrificio, ma anche valido ad impostare le " ripartenze", ne facevano una pedina insostituibile nello scacchiere di Pesaola. In sostanza il Bianchi calciatore può essere paragonato ad un Tardelli meno mobile, tanto per far intendere la valenza del giocatore. La vetrina di Napoli lo porta anche a vivere una breve ( all’ epoca la "geopolitica" era più forte di oggi ) esperienza con la Nazionale, condita in due partite con esordio a Milano contro l’ attuale Russia il 1 novembre del 1966. Altra partita a Napoli contro l’ Austria e il più famoso " gregario" del nostro calcio," Gioanin" Lodetti fedelissimo di Gianni Rivera, gli soffia il posto da titolare. Ma la breve, italica illusione, non gli impedisce di fornire un rendimento sempre alto nel Napoli, dove fino all’ addio nel 1972 nessuno discute il suo ruolo di "leader" nel centrocampo azzurro. Un diverbio con Corrado Ferlaino che l’ accusa di sindacalismo per una questione di premi promessi e non pagati, gli costa il trasferimento a Bergamo ( città dove vive tuttora ) a prestare la sua opera con la maglia dell’ Atalanta. Il declassamento non gli procura cali di rendimento, tanto che dopo due stagioni con gli orobici torna ad indossare la maglia di una grande squadra, quella rossonera del Milan. Nel 1974 si trasferisce al Cagliari ( segnando pure al Napoli di Vinicio), per poi vivere un dignitosissimo oblio con l’ ultima S.P.A.L del Cav. Mazza in serie B, dove chiude la carriera agonistica nel 1977 a 35 anni. Subito si iscrive al supercorso di Coverciano dove ha modo di farsi apprezzare dal " patron" del corso, il grande Italo Allodi. Comincia dalla gavetta della serie C, con le panchine di Siena, Mantova e Triestina. Il primo grosso risultato l’ ottiene con l’ Atalanta, con la quale conquista la promozione in serie B nel 1982. Dopo un’ altra stagione a Bergamo, nel dicembre del 1983 subentra a Fernando Veneranda sulla panchina dell’ Avellino, allora in serie A. Il suo pragmatismo consente una salvezza senza problemi agli irpini, impresa ripetuta l’ anno seguente a Como, sempre nella massima serie. Frattanto a Napoli giunge Italo Allodi, che ricordandosi di quello allievo tanto serio e scrupoloso, convince Ferlaino a sostituire il pur bravo Rino Marchesi con il suo pupillo, sistemando definitivamente fra i due "nemici", la questione irrisolta tanti anni prima. Bianchi trova una società molto diversa da quella che aveva lasciato 13 anni prima, organizzata e vogliosa di vincere qualcosa di veramente importante. Terzo posto nel 1986, ma l’ anno dopo arriva il momento atteso da sempre : il 10 maggio 1987, pareggiando con la Fiorentina per 1 -1, il Napoli è Campione d’ Italia. Tremendamente riservato, Bianchi si defila dall’ entusiasmo dilagante, evitando persino di partecipare alla festa negli spogliatoi. Ma in cuor suo, anche se non esternata, la gioia è immensa per aver regalato ad un pubblico diverso sì dal suo carattere, ma forse proprio per questo da lui ancora più amato. L’ anno dopo il "bis" sembra cosa fatta, quando nel finale il prepotente ritorno del Milan unito ad un vistoso calo fisico degli azzurri, consente il clamoroso sorpasso nella famosa gara del 1 maggio ( Napoli – Milan 2 – 3). Catastrofiche ( in senso sportivo naturalmente) saranno le conseguenze ; ancora prima della fine del campionato, con Nando De Napoli speaker per i mass media, i giocatori redigono un comunicato contro il tecnico , accusandolo in pratica di scarsa sensibilità. Gianni Brera sarcasticamente commentò che Bianchi non doveva far loro da padre, il pubblico si ritorse contro gli eroi del giorno prima, si assistette ad una vera e propria "sceneggiata". Ci volle tutto la diplomazia diabolica nel quale ancor oggi è maestro Luciano Moggi, per ricucire un ambiente forse troppo malato di protagonismo dopo i successi ottenuti ( nel 1987 il Napoli vinse anche la Coppa Italia ). Nel 1989 Bianchi aggiunge un’ altra gemma al suo personalissimo diadema, conducendo gli azzurri alla vittoria in Coppa Uefa, nella magica atmosfera di Stoccarda. Ma i rapporti ormai lacerati con la squadra, convincono Ferlaino e Moggi che ormai, nonostante i risultati ottenuti, è arrivato il tempo di cambiare. Arriva Albertino Bigon, più morbido di Bianchi a concedere " scappatelle", ed il buon Ottavio rimane un anno a spasso, sontuosamente ricompensato da un contratto valido ancora per un anno. Nel 1990 eccolo a Roma, sponda giallorosa, voluto dall’ Ing. Viola ( il Presidente dello scudetto) , dove vince subito la Coppa Italia, giungendo anche in finale di Coppa Uefa, sconfitto di misura dall’ Inter di Trapattoni. Ma, come già successo a Napoli, la sua assoluta onestà che a volte sconfina in un’ eccessiva rigidità, gli preclude i rapporti con qualche idolo della curva Sud ( Bruno Conti e Peppe Giannini), e non basta il 5° posto conquistato nel 1992 a confermarlo nella Capitale. Per la terza volta nel novembre dello stesso anno si unisce in matrimonio a Ferlaino, subentrando a Claudio Ranieri. Da allenatore passa al ruolo di Direttore tecnico, scegliendo per il 1993 –’94 Marcello Lippi per la panchina azzurra. Rimane a Napoli fino al 1994, quando lo chiama l ‘ Inter, all’ ultimo atto della presidenza Pellegrini. Sesto posto, poi dopo sole quattro giornate ( guarda caso dopo una sconfitta a Napoli ) nel settembre 1996 viene sollevato dall’ incarico, nella migliore tradizione….nerazzurra. Torna a Napoli, sempre come dirigente per altri due anni ( dal 1996 al 1998) , poi la sua indiscutibile professionalità viene premiata dalla Federazione, con l’ incarico di supervisore delle squadre giovanili, ruolo che svolge tuttora, ad eccezione di una breve parentesi a Firenze nel 2002. Un uomo per tutte le stagioni…

Translate »