LA DELUSIONE DEI TIFOSI RACCHIUSA NELLO SGUARDO TRISTE DEL POCHO
E' triste e sconsolato il Pocho. A Torino, dopo l'errore dagli undici metri, si è messo a piangere come Diego a Tolosa, mentre a Palermo non sono uscite lacrime ma, sul suo volto, è comparsa una maschera triste a cui non siamo abituati. Lo sguardo timido e furbo, da scugnizzo, cancellato dal momento di crisi che sta attraversando la squadra. Quel viso spento sembra racchiudere la delusione e lo sconforto dei tanti tifosi azzurri preoccupati per come stanno andando le cose ultimamente. Non è un segno di resa il suo ma la semplice ed umana manifestazione di disagio di chi, pur spremendosi già al massimo, vorrebe dare ancora di più per aiutare il suo Napoli ad uscire dal tunnel e risollevare il morale di quella marea di persone che gli vuole bene. E' commovente il suo spirito di abnegazione, constatare come sia cresciuto e si sia consolidato il suo rapporto con la realtà napoletana nel corso di quest'anno e mezzo ricco di soddisfazioni. Nel momento di difficoltà il Pocho si sta dimostrando leader e trascinatore di squadra e tifosi. Un leader triste, certamente, perchè il morale è finito sotto i tacchetti ma non la voglia di lottare e provarci fino alla fine, di caricarsi sulle spalle le responsabilità derivanti dal suo status di giocatore speciale per via delle qualità tecniche e morali riconosciutegli da tutti.
A Palermo, così come a Torino, ci ha provato con tutti i mezzi a sua disposizione, non lesinando nemmeno un briciolo di energia, ma non è bastato. Non può bastare se attorno il resto della squadra gira poco e male, se là davanti i palloni arrivano col contagocce e, quando torna a centrocampo per uno scambio in velocità, la precisione dei compagni lascia alquanto a desiderare. Si spiegano in parte così i suoi tentativi solitari, quegli uno contro tutti che, il più delle volte, vengono neutralizzati con marcature raddoppiate o addirittura triplicate. L'estremo tentativo di produrre qualcosa di buono in mezzo al caos di una squadra che ha perso, strada facendo, identità e valori, imbucandosi in lungo tunnel buio da cui non sembra voler uscire. Il Pocho ha preso per mano questo gruppo, sta cercando di riportarlo con tutte le sue forze verso la luce dei giorni migliori ma da solo non può farcela e di questo ne soffre realmente. E' riuscito, per lunghi tratti, a mascherare i limiti tecnici di questa squadra, peraltro da tempo acclarati, grazie ai suoi guizzi ed alle sue invenzioni ma ora che la benzina inizia a scarseggiare sono venuti a galla in tutta la loro evidenza.
Per usare una delle similitudini tanto care a Marino Lavezzi sembra uno splendido fiore, di rara bellezza, fatto crescere però su di un terreno brullo e arido, circondato da qualche piccolo germoglio, qua e là, che fatica ad attecchire. In questo contesto generale un giocatore così è quasi sprecato, sicuramente non sfruttato al massimo del suo potenziale e il Pocho lo sa bene. Si spiegano anche così quei suoi rientri fino alla metacampo, come a dire che se Maometto non va alla montagna è la stessa a recarsi da Maometto. Si spiega in parte così anche quel viso triste dopo la partita di Palermo poichè non è solo lo sguardo abbattuto di chi vorrebbe poter fare di più ma anche di chi è consapevole che certi limiti della squadra costituiscono una zavorra per le sua giocate personali. Un impedimento che non gli permette di sfruttare al massimo il suo grande repertorio. Ma il Pocho non è uno di quei giocatori viziati che strilla al primo problema e perciò se ne sta triste in un angolo per rispetto dei compagni, dell'allenatore e dei suoi tifosi, proprio come Achille sulla collina, per preparare al meglio la prossima battaglia e riprendersi il suo Napoli, quello vero, insieme con il sorriso dei giorni migliori.