VITTORIA IMPORTANTE, MA 4 RETI NON CANCELLANO I DUBBI

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Ci eravamo lasciati nel 2012 con una vittoria non del tutto limpida e, anzi, alquanto fortunosa strappata a Siena negli ultimi scampoli, quando giocatori e tifosi già pensavano al cappone, al panettone e ai regalini. Ci ritroviamo nel nuovo anno 2013 con un successo per certi versi non dissimile da quello ottenuto in Toscana, sicuramente non nella dinamica e nelle situazioni verificatesi, senz’altro nella sostanza, nel succo risultante dai novanta minuti. E cioè, il succo di un exploit inatteso alla vigilia, per i netti progressi mostrati dalla Roma sbarazzina di Zeman e per gli altrettanto netti regressi caratterizzanti un Napoli che al ‘Franchi’ aveva sì interrotto l’emorragia di risultati di un Dicembre tra i più neri della sua storia, ma non aveva dissipato gli snervanti dubbi sulla qualità del gioco e sull’utilità della monotona filosofia calcistica del confuso Mazzarri. Un exploit probabilmente non immeritato, se consideriamo la maggior concretezza degli azzurri, mostrata peraltro dal solo ed eterno factotum Cavani, unico uomo preciso e puntuale circondato da compagni in letargo e svogliati. Un exploit sicuramente eccessivo nel punteggio, alla luce di quanto s’è visto sul terreno semi-spelacchiato del San Paolo, ove i capitolini hanno fatto il loro dovere più che onorevolmente, senza paura, mettendo in vetrina il loro calcio offensivo e piacevole, puniti oltremisura dalle loro lacune nelle retrovie: peccato originale del boemo, forse mai corretto nonostante la sua abnegazione.

Ci si sarebbe attesi una squadra giallorossa d’assalto fin dall’inizio. E in effetti i ‘regazzini’ cercano di fare la partita, con Pjanic che cerca di fare filtro tra centrocampo e prima linea e Balzaretti che in un paio d’occasioni sventaglia nella speranza di pescare Destro. Ma dopo soli quattro giri di lancette succede quel che non t’aspetti: ossia che, su un suggerimento innocuo di Inler, Bradley sbuccia e Pandev lesto lesto si prende la boccia per poi lasciare la volata vincente a Cavani (aridaje!), favorito dall’ora d’aria di quella difesa capitolina che, per quanto migliorata nei meccanismi, rappresenta sempre l’anello debole dell’orchestra boema. Segna presto, il Napoli. Troppo presto, però. Perché da quel momento in poi, lentamente ma progressivamente, gli azzurri si ritraggono su se stessi e l’orchestra boema, per nulla scompostasi, comincia a suonare la sinfonia, anche se non riesce mai a trovare l’acuto. Soprattutto perché, per una buona mezz’oretta, i partenopei interpretano la fase difensiva con estrema accortezza, fino all’eccesso, e di tiri verso De Sanctis non se ne vedono. Per la verità, non se ne vedono nemmeno verso Goicoechea, dacché gli azzurri, pur facendo logicamente leva sull’arma a loro congeniale delle ripartenze, sono bloccati in mezzo al campo da Bradley e De Rossi (del resto all’umile Walter il regista non garba…), mentre sugli esterni Zuniga e Maggio devono pensare più a badare a Piris e Balzaretti che non a sprintare. In quelle rare occasioni in cui essi arrivano ai venti metri, accade che Pandev, in leggerissima ripresa, viene chiuso in gabbia da 2-3 uomini, e così Hamsik e Cavani. E poiché Maggio s’è portato dall’anno vecchio un po’ del suo debito d’ossigeno, rientrando in ripiegamento con vent’anni di ritardo, ecco che nell’ultimo quarto d’ora della prima frazione la Roma trova delle praterie e mette in ambasce i nostri, grazie anche all’eccezionale dinamismo delle punte, alla generosità di Balzaretti, alla personalità dell’uomo-ovunque Pjanic e a un insolito Castàn che sale dalla terza linea e s’inserisce spesso in fase d’attacco. E in porta i giallorossi ci tirano per davvero. Meno male che De Sanctis fa intendere di non essersi abboffato di struffoli a Natale. E meno male che l’astigmatico umbro Tagliavento non rovina la gara con le sue decisioni strambe e inspiegabili, da una parte e dall’altra. Se la giocano i capitolini, altroché. Sono stati ben catechizzati dal loro tecnico all’idea che una partita di calcio si vince se segni di più e non se subisci di meno. Ergo, ti puoi anche dimenticare di un Zuniga qualsiasi, che se ne scende rapido a sinistra, e di un Cavani al quale il senso del goal non manca mai, come quel pizzico di buona sorte nel trovare la deviazione malandrina di Castàn. Il secondo goal, a freddo quanto il primo, è una punizione esagerata per la Banda Zeman, alla luce di quanto visto fino a quel momento, soprattutto alla luce di quanto avviene di lì in avanti. La sinfonia giallorossa infatti continua imperterrita, e si concentra soprattutto sul lato sinistro dello scacchiere, poiché i vari Bradley, Balzaretti e Totti capiscono ben presto che Maggio è il pollo da spennare a poker, anche se i tiri a bersaglio vanno a vuoto, soprattutto quello del calvo americano che, con Morgan a terra, manda la palla sui cartelloni pubblicitari. A intervallare il concerto qualche assolo azzurro, mal concretizzato da Marekiaro e dal Matador. Un Matador che, bene o male, è sempre pronto a colpire, specie perché, rimembriamolo, le squadre di Zeman dimenticano spesso i concetti basilari del saper difendere. Su palla alta, per esempio, come quella che frutta la terza rete, propiziata ancora da Pandev che da corner la piazza sul capoccione del salteño, svettante su Burdisso. Ma la Roma, dicevamo, è indomita, non molla un metro e non viene meno all’impegno di giornata. E l’orchestra boema alla fine lo trova l’acuto, facilitato dalla dormita del molle Britos che si perde Osvaldo sul passaggio filtrante di Pjanic, suscitando bestemmie nei 45.000 di Fuorigrotta e rimpianti per l’assenza dello spesso vituperato Cannavaro. E preoccupazioni, legittime per una fase difensiva da risistemare dalla testa ai piè a tutti i costi, negli uomini su cui fare affidamento come nei meccanismi e nell’atteggiamento nell’applicarla, apparso stasera troppo sufficiente, impreciso, talvolta impaurito dinanzi alle ripetute sfuriate avversarie. Cavolo, è impossibile che nell’ampio lasso di tempo delle feste in Casa Napoli non ci abbia pensato chi di dovere! E questa la sensazione che ci resta al fischio finale del signor Tagliavento, anche dopo che, sull’upandunder di Mesto, Maggio buca la distratta difesa di una Roma già handicappata dall’espulsione di Pjanic, e colpisce a puntino.

Non v’è dubbio che la vittoria di stasera sia importante, oltreché per il blasone dell’avversario sconfitto, ai fini della classifica, dove gli azzurri, in attesa della sentenza d’appello della Disciplinare per il Caso Gianello, si sono ripresi il 3° posto, appena alle spalle della Lazio di Petkovic aiutata dal signor Orsato. Ma la goleada non porta certezze positive nell’anno appena iniziato. Al contrario, lascia al loro posto le incertezze e le apprensioni dell’ultimo scorcio del 2012 e ancor più della stagione passata, così come lascia inalterate le nostre teorie circa il dafarsi nel mercato di riparazione invernale. Fermo restando che, con un Cavani così, il suo vice potrebbe anche fare da tappezzeria, sono altre le necessità a cui il Napoli deve far fronte. Un difensore (anche due, se possibile), un centrocampista e un esterno di centrocampo. Ma che vengano non per fare numero, o per riempire le caselle lasciate vuote da cessioni e squalifiche (speriamo cancellate …), bensì per assicurare al Napoli l’obiettivo minimo della qualificazione in Champions. E che lo facciano riuscendo positivamente in quei fondamentali, quei meccanismi, quelle situazioni di gioco che in questa notte dell’Epifania ci lasciano ancora tanti dubbi, malgrado si sia vinto 4-1. Il pensiero finale, tuttavia, è lo stesso di Siena: con tali figuri alle grandi manovre, e visti i nomi che circolano, non ci aspettiamo certo una sessione di mercato da 5 stelle. E forse nemmeno da 3 e mezzo.

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