Appello ai vertici del Napoli: si può essere davvero così ottimisti?
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I bilanci si fanno a fine stagione.
Il Napoli è secondo in un campionato chiuso ancora prima di cominciare: la Juventus davanti e tutte le altre dietro a sgomitare per un posto in Europa.
È arrivato a giocarsi i quarti di Europa League con l’Arsenal, dopo un girone di ferro in Champions, nel corso del quale c’è stato il confronto con teste di serie del calibro di Liverpool e Paris Saint Germain – anche se ai francesi è bastato un turno per perdere la corona – quindi, se si tirano le somme a fine anno di cosa scriviamo oggi?
Cosa recriminare ad una squadra seconda in classifica, ancora in corsa per un trofeo e che ha in panchina uno che solo a pensare a quanto ha vinto nella sua carriera si dovrebbe chinare il capo e tacere?
Oggi all’inizio di aprile, con la doppia sfida con l’Arsenal alle porte e nel pieno di un a dir poco deludente girone di ritorno, con 12 punti in 8 partite, non si può star zitti.
Soprattutto – esulando da pregiudizi e amarezze – non si può non rilevare che c’è qualcosa in questo Napoli che ha smesso di funzionare.
“ In Carlo we trust” sì ma fino a che punto?
L’allenatore di Reggiolo non si discute: ha vinto tutto ed è arrivato sulla panchina azzurra per illuminare la strada europea, una strada che i suoi predecessori sono stati troppo pavidi – o concentrati su altri obiettivi – per percorrere.
“Se usciamo dalla Champions siamo dei coglioni” , così aveva detto il mister, eppure da quella competizione esaltata dalle prestazioni dei singoli siamo usciti negli ultimi novanta minuti a Liverpool per mancanza di concentrazione e per l’errore di un solo uomo che poteva cambiare volto a tutto il resto della stagione dei suoi compagni.
Congetture, analisi, alibi.
Perché questa squadra dopo l’uscita dall’Europa “dei grandi” ha inanellato una serie di risultati e prestazioni bipolari: per tre partite brillanti e poi all’improvviso impalpabili, inconsistenti e imbarazzanti.
Uscire dalla Coppa Italia senza giocarsela, per una squadra che deve e vuole vincere si può definire soltanto imbarazzante al pari della recente prestazione con l’Empoli.
Eppure siamo secondi, in una posizione in cui non si può salire ne tantomeno – al momento – scendere visti i continui harakiri di chi ci sta dietro.
Siamo lì secondi e ancora in corsa per un trofeo con una squadra che quando si ricorda come si gioca a pallone sa essere esaltante, bella e divertente. Però poi arrivano passaggi sbagliati di un insospettabile Koulibaly, il poco pressing di Allan e svanisce dal campo – non solo per infortunio – il novello capitano Insigne.
Allora ad un certo punto, essere uno degli allenatori più vincenti di sempre per il tifoso non conta più; quando dopo una prestazione indegna dei tuoi invece di indire una doppia seduta di allenamento dai un giorno di riposo c’è qualcosa che non funziona.
Vogliamo dire che la testa è all’Arsenal? Non si può giustificare una tale indolenza, perché poi i tifosi non ti seguono e in un campionato già finito lo stadio sarà pieno solo per le poche restanti sfide di “cartello”.
Il pubblico che riempirà il San Paolo contro l’Arsenal lo farà solo con la speranza di addolcirsi la bocca in una stagione che ha il gusto amaro di qualcosa che poteva essere e non è stato.
Gli altri dicono che “vincere è l’unica cosa che conta” e forse hanno ragione loro, forse con la Coppa in bacheca saremo tutti meno severi di oggi.
Ma se vinci in Europa e non cambia qualcosa rispetto a quanto visto nel tuo primo anno a Napoli, il tuo palmares svanisce a fronte della serenità mostrata nel dichiarare di avere una rosa sufficiente e dinnanzi all’aver avallato la cessione di due centrocampisti a metà stagione, passando dal sovraffollamento all’emergenza di reparto.
Soprattutto quando uno dei due si chiama Marek Hamsik e lo lasci prima fuori squadra e poi partire, c’è qualcosa che non ti è stato chiaro non dal punto di vista della tattica in cui sei un maestro, ma da quello del cuore e della fantomatica “mentalità”.
Sono rimasti in pochi – Callejon su tutti, uno arrivato con Rafa Benitez allenatore manager che da Napoli è andato via in maniera repentina lasciandosi male con la dirigenza –
di giocatori con la personalità e l’ardente passione per Napoli e il suo pubblico.
Invece tra gli altri chi per le sirene di mercato, chi per mancanza di esperienza e chi per una certa arroganza, stanno dimostrando di aver poco da dire e da dare alla causa azzurra.
E non è più una questione di allenatori, di animo o di grinta ma di testa e di uno “stile” a cui adeguarsi senza riserve che dovrebbe impartire principalmente chi compra i calciatori e fa firmare i contratti.
Comunque, quello che più lascia dubbiosi oggi è l’ottimismo che permea l’ambiente attorno al Napoli.
Magari si vince la Coppa ma se non seguirà una politica di rinnovo sul campo e mentale, non chiamateci gufi ma sarà dura.
Resta Giuntoli quindi il rinnovo dirigenziale è saltato, mentre noi rischiamo di rimanere quelli che siamo da anni: eterni incompiuti.
Il giornalista-giornalista non può mai abbassare la testa e tacere, anche quando in gioco c’è un amore grande come quello per la squadra del cuore.
E oggi, nonostante un trofeo ancora raggiungibile, lo diciamo a gran voce che qualcosa non sta funzionando da un bel po’ in casa Napoli.
Vincere è importante ma non è l’unica cosa che conta, ci vogliono: testa, cuore e campioni che dei napoletani abbiano la cazzimma e non l’indolenza e l’arte di arrangiarsi.
I bilanci si fanno a fine stagione, ci auguriamo di veder spazzati via i dubbi e che Ancelotti dia l’impronta degna della sua carriera anche sul mercato, di festeggiare un successo, ma soprattutto che si pensi a costruire – ma in grande – per una piazza che merita di più, ma molto di più.