Tatticamente – Gattuso fa e disfa la tela: bocciato alla prova del nove
Gattuso ha fallito la prima vera partita post ricostruzione, quella che inaugura un ciclo di partite che nuovamente vedrà il Napoli impegnato ogni tre giorni, tra campionato e coppe. Tra mille difficoltà ha cercato, in qualche modo, di tirar fuori questa squadra dal baratro. Ed in parte ci è riuscito, ingannando l’intero ambiente in merito al fatto che questa squadra avesse ritrovato degli automatismi e soprattutto una solida identità per provare a disputare una seconda parte di stagione da protagonista. Ma adesso, nel baratro, rischia di riportarcelo con le sue stesse mani proprio lui, Gattuso. Scelte totalmente sbagliate, un chiarissimo esempio dell’inesperienza di un tecnico ancora giovane, che delle capacità le ha sicuramente ma gli manca probabilmente ancora qualcosa per cercare di affermarsi immediatamente in una piazza esigente. Eppure alla vigilia era stato il primo a tenere alta la guardia per evitare di sottovalutare il Lecce. La partita, però, ha dimostrato il contrario. Non che il Napoli abbia sbagliato approccio: almeno tre occasioni nitide per passare in vantaggio; in generale, la squadra teneva bene il campo, aggrediva in avanti, senza concedere spazi agli avversari. Ma Milik e Zielinski hanno sbagliato troppo, sia individualmente che quando hanno sprecato una comodissima combinazione: numerosi presupposti creati non sono stati concretizzati, da lì il Lecce ha preso coraggio, cominciando già a crederci quando ha notato che il Napoli non riusciva più, nella fase centrale del primo tempo, a mantenere ritmi così alti come all’inizio; la sfrontatezza dei ragazzi di Liverani ha messo a nudi tutti i limiti tecnici e caratteriali degli azzurri. Che ad un certo punto, dopo lo svantaggio, hanno vissuto buona parte del match in balia del possesso palla del Lecce, esattamente come contro la Sampdoria, quando tra la prodezza di Quagliarella e il momentaneo 2-2, il Napoli ha visto le streghe: Liverani è un allenatore atipico per una squadra che deve salvarsi, un valore aggiunto per certi versi, che differenzia una “piccola” ambiziosa da una che bada solo a difendersi per 90′ invece di provare a proporre, quando possibile, un calcio da far invidia anche a squadre con un blasone diverso, superiore, al Napoli stesso. Il primo gol di Lapadula arriva dopo un recupero palla che si trasforma in una ripartenza breve che buca il Napoli per vie centrali, esattamente nei mezzi-spazi tra centrocampo e difesa. Uno dei maggiori difetti emersi quest’anno è la mancanza di comunicazione tra i due reparti: i difensori rimangono statici a protezione della porta, in una posizione del tutto inutile sia perché ostacola la visuale al portiere sia perché non rappresenta un tentativo concreto di intercettare la traiettoria di un passaggio o un tiro; dall’altra parte i centrocampisti faticano a rientrare e non riuscendo a seguire l’azione non esercitano la giusta azione di disturbo per ostacolare le iniziative degli attaccanti, e invano attendono che qualcuno ci metta una pezza. Ma quel qualcuno, che fino a un po’ di tempo fa si chiamava Kalidou Koulibaly, non esiste più: il Napoli deve cominciare a rendersi conto che quando non può più affidarsi alle sue migliori (poche) individualità per nascondere qualche defaillance tattica, deve organizzarsi meglio di collettivo, deve ritrovare compattezza per serrare i ranghi quando serve e abbassare il livello di pericolosità avversario. Non è un caso che il Napoli, a prescindere dalla guida tecnica, abbia sempre sfoggiato le sue migliori prestazioni, sia con Ancelotti – ad esempio col Liverpool per due volte -, sia con Gattuso – Juventus annullata – quando ha vestito umilmente i panni della provinciale che affronta la più forte e sfodera le armi dell’attenzione, del sacrificio, dell’applicazione maniacale nella fase di non possesso. È l’equilibrio a mancare, soprattutto quando il tipo di partita impone la vittoria e un atteggiamento tattico leggermente più spinto e votato all’attacco, che a rigor di logica qualcosa dietro ti costringe a concedere: dunque nemmeno Gattuso, a prescindere da una disposizione tattica sicuramente più congeniale all’impianto complessivo della squadra, ha trovato la quadra. Insulsa la catena di destra e la capacità di fare filtro da parte delle mezzali: Politano non è Callejon e sebbene apporti un contributo più qualitativo sulla trequarti, non è disciplinato come lo spagnolo nei ripiegamenti e si vede che la squadra non è pronta per reggere due esterni offensivi che vogliono entrambi palla sui piedi; lui l’anello più debole, insieme a Lobotka che è ancora un oggetto misterioso, di una fascia dove Saponara si allargava spesso per consentire all’interno o al fantasista Falco, che svariava su tutto il fronte per andare a pizzicare ovunque ci fosse bisogno della sua imprevedibilità, di inserirsi a rimorchio.


