NAPOLI, PIETA’ PER CHI TI AMA
Già indebolito da diatribe dirigenziali alle alte sfere, da una mentalità retrograda, da tensioni, mugugni e parolacce che trovano il loro spazio ogni maledetta domenica, il calcio italiano è ulteriormente soggiogato dalla terribile crisi economica. Una follia negarlo, così come sarebbe da pazzi non dedurre che la mazzata rifilata da tale crisi al football nostrano non fa altro che condizionarne e determinarne dinamiche e aspetti che lo caratterizzano: non ci sono soldi per portare sui nostri palcoscenici i grandi campioni, per costruire stadi nuovi, moderni e funzionali, per potenziare i vivai, così come non ci sono soldi per andare a vedere la partita a contatto diretto con i nostri beniamini. Al diavolo il solito discorso che assistere al match comodamente seduti dalla propria poltrona è più conveniente, specie con gli avanzi di galera che affollano le scalee e gli spalti. La verità è che i tifosi allo stadio non ci possono andare: la crisi ha svuotato le loro tasche, senza dimenticare il menefreghismo e la finta cecità dei nostri dirigenti nel cui vocabolario la parola “prezzi popolari” dev’essere, a quanto pare, totalmente assente.
Quest’ultimo discorso vale, purtroppo e ahinoi, anche per il Napoli. Va comunque premesso che il caso napoletano è molto singolare da tale punto di vista: per motivi di svariata natura, che tutti ben sanno e che non occorre elencare, la Capitale del Mezzogiorno va annoverata tra le città che patiscono maggiormente gli effetti della crisi, eppure gli appassionati supporters azzurri hanno sempre fatto incredibili e inopinabili sacrifici dal punto di vista economico pur di non far mai mancare il loro sostegno alla squadra, il loro amore e la loro fede per i colori azzurri. Sacrifici, appunto: sacrifici pagati a caro, carissimo prezzo. A cifre spropositate, quali sono state quelle che hanno contraddistinto le campagne abbonamenti dell’era De Laurentiis, soprattutto da quando il Ciuccio è tornato in A. In cinque anni di massimo campionato il costo dei settori del San Paolo è andato progressivamente (e, aggiungiamo noi, pericolosamente) ad aumentare, attestandosi perennemente a quote altissime, astronomiche, inaccessibili ai più. Qualche esempio: le Curve, il settore più ‘economico’, non sono mai valse al di sotto dei 225 Euro; una Tribuna, che ne 2007 già costava 365 Euro, l’anno scorso veniva a fare quasi il doppio (605 Euro); sempre la scorsa stagione per una abbonamento in Tribuna Nisida si pagavano circa tre milioni di vecchie lire, per non parlare della Tribuna d’onore, valutata 2510 Euro. Cifre eccesive, dunque, senza dimenticare poi quelle per i match di Champions’ League. Com’è brutto e avvilente dover sottolineare che, per le notti magiche europee, tanti, troppi napoletani hanno rotto salvadanai, staccato mattonelle e prosciugato stipendi, costretti a umilianti ed esorbitanti spese che hanno poi raggiunto l’acme con la vergogna di Napoli-Chelsea, lì dove s’è avuta la sfacciataggine di propinare ai facoltosi tifosi un modico menu che prevedeva 30 Euro per le Curve e 100 per i Distinti: uno scempio inammissibile, una totale, ingiustificabile e scostumata mancanza di comprensione per della gente che vive di pane e pallone da 86 anni, che ha sempre trovato nel Napoli motivo d’orgoglio e di fierezza e che con la squadra di calcio ha un rapporto profondo e viscerale, un rapporto che non ha eguali in altre piazze d’Italia. Un rapporto che conferisce alla stessa squadra di calcio la dimensione di un essere umano, come fosse una mamma, una fidanzata, una moglie.
Alla fine del calciomercato estivo manca ancora parecchio. Tuttavia, le ataviche ritrosie e la rigidezza con cui il patron comanda economicamente la sua creatura, gli orizzonti sempre più ridotti del dottor Bigon e la presunzione dura a morire dell’umile Walter sembrano presagire una sessione che porterà all’ombra del Vesuvio vacche magrissime, alle quali va aggiunto l’handicap terribile e doloroso dell’adieu di Lavezzi, il pazzo e anarchico Pocho che con le sue giocate da circo, la sua folle corsa e il suo irridente dribbling non solo trascinava i suoi compagni, ma dava alla partita quel tocco di spettacolo che, seppur in piccolissima e minuscola parte, valeva e giustificava il prezzo del biglietto. E allora? Allora, ove mai venisse malauguratamente effettuata una campagna acquisti deficitaria (ma anche qualora ciò non si verificasse) la SSC Napoli dovrebbe avere maggior rispetto nei confronti dei suoi tifosi, non prenderli per i fondelli e proporgli un listino abbonamenti meno esoso, più sobrio ed economico, decisamente adatto alle loro disponibilità finanziarie, con prezzi che siano molto inferiori e, al tempo stesso, stilati attraverso una più equa media di quelli concernenti una singola partita. Lo stesso concetto vale anche per l’avventura in Europa League. I club europei affrontati due anni fa, Liverpool a parte, non avevano forse lo stesso lignaggio di Manchester City, Bayern Monaco e Chelsea, eppure vederli affrontare costava maledettamente un occhio della testa in qualsiasi settore dello stadio. A questo punto, perché non predisporre ad hoc un miniabbonamento per la fase a gironi del torneo continentale? Sarebbe un’idea originale, un pacchetto economico vantaggioso grazie al quale non solo il tifoso risparmierebbe tantissimo, ma, attraverso una netta divisione tra le due competizioni, egli avrebbe la possibilità di decidere se dedicarsi anima e corpo al campionato, e quindi spendere di più per un numero maggiore di match, oppure seguire con più interesse la passerella notturna della Champions di B e investire una cifra minore, anche qui proporzionata sulla media del costo singolo di una partita (per esempio, 45 Euro per 3 partite in Curva, 60 Euro nei Distinti e così via). Ecco, perché all’interno del Napoli queste idee non vengono mai partorite? Perché nell’organigramma societario non c’è nessuno che rifletta sulle suddette questioni inducendo il presidente ad aprire gli occhi sulle necessità del patrimonio più prezioso che il glorioso club partenopeo abbia mai avuto? In mancanza di ottimi e fidi consiglieri, forse dovrebbe essere lo stesso Don Aurelio a capire queste necessità e a soddisfarle nel migliore dei modi possibili. Fissare ai massimi livelli i prezzi di biglietti e abbonamenti sarà anche la dimostrazione che il bernoccolo degli affari è innato in lui, ma è anche la prova di quanto egli sia talvolta ancor più egoista e sordo dei suoi omologhi italiani, facendosi inglobare ‘dal sistema’ malgrado i suoi propositi rivoluzionari di cambiare il calcio. E soprattutto, mostrando di non avere alcuna pietà per i tifosi, per chi ama davvero il Napoli.