MA NON DOVEVAMO GIOCARCELA?

Una sconfitta a Milano contro l’Inter si può mettere in preventivo nell’arco di un campionato. I nerazzurri sono palesemente più forti del Napoli sulla carta. E allora come si affronta una gara del genere? Lungi dal sostituirci a Reja, ma a Castelvolturno si sono sbandierate per tutta la settimana le intenzioni belliche degli azzurri in vista del match di San Siro: “Sarà importante non farci schiacciare nei primi venti minuti, ma attaccarli alti”, “le nostre caratteristiche non sono quelle di fare le barricate”, “non possiamo difenderci e ripartire come ha fatto il Panathinaikos”, o ancora “dobbiamo giocare sui nostri ritmi e non su quelli dell’Inter”. Ebbene, nulla di tutto questo si è visto nel primo tempo. Il Napoli sembrava un topolino alle prese con un enorme micione: timido, impacciato, senza mordente. Insomma questo formaggio (lasciati passare la metafora culinaria) non lo volevamo proprio andare a prendere. E l’Inter, senza strafare, non ha potuto fare altro che prendere a pallonate la porta azzurra. Certo, quando si affronta una partita del genere senza attaccanti – perché Maggio e Mannini fanno i terzini bassi e Lavezzi e Zalayeta giocano a centrocampo – un tema tattico del genere te lo devi aspettare. Se a questo si aggiungono le scelte stile Lisbona di Reja, di lasciare fuori Blasi e Santacroce, si comincia a capire il perché di un Napoli brutto e senz’anima. Il solo Lavezzi non basta e non può bastare. Le partite non si possono sempre riaggiustare per le invenzioni del Pocho che, al momento, è il 70% di questo Napoli.

 

Non facciamo come Paganini e quindi ci ripetiamo: perdere a Milano non è la fine del mondo, ma così fa tanta rabbia. Perché dopo la perla di Lavezzi – finalmente in gol a San Siro – gli azzurri nel secondo tempo hanno cominciato a perdere quella sorta di sudditanza psicologica e a giocare con maggiore convinzione. E allora si torna al modo, ahinoi evidentemente sbagliato, di come si è impostato la partita: giocare arroccati per non prenderle nel primo tempo e nel secondo, sfruttando il fisiologico calo fisico degli avversari, cominciare a fare sul serio. Queste scelte “poco coraggiose”, però, possono andar bene una volta – vedi a Roma con la Lazio –, ma non sempre. A maggior ragione se è evidente che non si ha più quella brillantezza fisica di inizio stagione. Se come nei migliori gialli tre indizi fanno una prova, le prestazioni contro Atalanta, Cagliari ed Inter hanno messo in luce un lento ma costante calo del Napoli sotto l’aspetto psico-fisico. La squadra non ce la fa ad aggredire come prima e lo dimostra il poco filtro che si fa a centrocampo: sono ormai otto i gol subiti nelle ultime cinque partite. Assodato, per stessa ammissione di Montervino, che qualche scappatella notturna di troppo c’è stata, non si può giustificar solo così, però, la poca reattività del Napoli. Il preparatore atletico Febbrari, uno dei migliori nel suo campo, dovrà cercare di trovare qualche contromisura per far tornare a correre il Napoli come un mese fa.

 

Per fortuna questo novembre nero è alla spalle. Quattro punti in cinque partite è tutt’altro che una media da Europa ma almeno le altre inseguitrici non è che siano facendo molto meglio. Le prossime due partite interne contro Siena e Lecce dovranno essere capitalizzate al meglio. Altrimenti si potrà dichiarare aperta la crisi. E con l’Aurelio furioso, nessuna decisione, anche la più estrema, è da scartare.

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