Tatticamente – Osimhen e il Napoli imparano a conoscersi

Una partita-trappola che il Napoli ha reso tutto sommato semplice: la gara con la Sampdoria poteva nascondere delle insidie, all’indomani del ko con la Juventus, ma gli azzurri hanno dimostrato come, nel nostro calcio, Davide batta quasi sempre Golia (per usare la metafora di Ranieri alla fine del match). Nettamente superiore questo Napoli ad una Sampdoria che, dal punto di vista dell’organizzazione di gioco, si conferma una delle squadre meno propositive di tutta la Serie A: quasi mai pericolosi i blucerchiati, se non in seguito a un paio di consueti – oramai – errori in disimpegno del Napoli; per il resto, però, i padroni di casa hanno provato a sporcare la partita, rubacchiare un punto, ma senza mai provocarci con grande qualità. Il Napoli, dal canto suo, è stato bravo a non cascare nella trappola di cui sopra; si è affidato al suo maggiore tasso tecnico, ha messo la partita sui binari più favorevoli ai suoi migliori giocatori. Una gara quasi sempre sotto controllo, in cui il Napoli ha sofferto il giusto, senza mai rischiare seriamente di compromettere una buona prestazione. Rispetto all’andata, quando Gattuso aveva raddrizzato la barca soltanto all’intervallo, a Marassi non c’è stata praticamente mai partita: la Samp ha provato come sempre a fare tanta densità nella propria metà campo, ma questo Napoli così in salute ha saputo muovere la palla velocemente e a trovare le giuste imbucate anche in mezzo al traffico del Ferraris. Emblematica l’azione – bellissima – della rete di Fabian: tutto in verticale, tutto di prima, ma soprattutto tanto movimento senza palla che ha disorientato la difesa doriana. Il Napoli ha rotto così il castello difensivo di Ranieri, per poi trovare, nella ripresa, più spazi in contropiede, esaltando le caratteristiche di Osimhen. Proprio Fabian e Osimhen sono i giocatori maggiormente in crescita, che più erano mancati per gran parte della stagione, e che in questo momento stanno offrendo a Gattuso un interessante ventaglio di soluzioni tecnico-tattiche. Oltre ad aver ritrovato loro due, Gattuso ha capito anche – a distanza di un po’ di tempo – come assortire bene i reparti e accoppiare i giocatori in maniera funzionale: il miglior partner di Osimhen – Mertens – in realtà lo aveva già trovato sin dal ritiro a Castel di Sangro, ma l’infortunio del nigeriano lo ha costretto a rivedere i piani; quello dello spagnolo, invece, lo ha indovinato soltanto di recente, individuando in Demme l’equilibratore che disimpegnasse l’ex Betis da una serie di compiti difensivi che ne stavano fortemente limitando il rendimento, a tal punto da farci dubitare della reale bontà del calciatore. È da un mese che il Napoli ha cambiato marcia: Gattuso si è reso conto – probabilmente – di aver commesso qualche errore ed ha restituito alla sua squadra delle certezze che ad un certo punto erano state perdute. Basti pensare che sino ad un girone fa –  si giocava proprio Napoli-Samp, ma a Fuorigrotta -, non avevamo ancora capito in che modo volesse giocare l’allenatore calabrese: il Napoli disputò (malissimo) il primo tempo con un modulo (4-3-3) ed il secondo con un altro (4-2-3-1). Pensate quanto, al di là degli infortuni (fino a quel momento mancava solamente Osimhen, per il resto erano ancora tutti disponibili), il Napoli di Gattuso fosse ancora un cantiere aperto (anzi apertissimo) dal punto di vista tattico. Quindi ad inizio 2021 si è toccato il punto più basso: al netto dello schieramento, Gattuso cominciò addirittura a stravolgere il Dna storico della sua squadra, trasmettendo messaggi di paura, scendendo in campo con un baricentro sempre più basso e penalizzando, inevitabilmente, un gruppo non abituato a difendere in quel modo ma, al contrario, capace di comandare le partite anche contro squadre sulla carta più forti. Oggi, invece, pur conservando dei limiti evidenti, puntualmente accentuati nei grandi appuntamenti, il Napoli mostra finalmente un’identità chiara, precisa, riconoscibile (soltanto adesso possiamo dire di vedere ‘la mano di Gattuso’). Inoltre, ha ancora dei margini di miglioramento piuttosto evidenti, che Gattuso deve augurarsi di enfatizzare proprio nelle battute conclusive di questa annata. Tra tutti i possibili upgrade, l’esplosione di Osimhen potrebbe diventare presto il tema cruciale per capire veramente dove può arrivare questo Napoli nel breve-lungo periodo: il ruolo del centravanti è troppo importante nel calcio perché gran parte delle ambizioni di un club non passino per il rendimento di un calciatore pagato (così tanto) per segnare. L’esplosione o meno di Osimhen non dipende, però, solamente da lui: indubbiamente deve metterci qualcosa in più, migliorare nei movimenti, magari farsi pescare meno in fuorigioco, partecipare di più alla manovra, in generale fare tutte quelle cose che al Lille nessuno gli aveva mai insegnato; tuttavia i compagni devono iniziare a studiarlo meglio, capendo in che modo servire un giocatore che ha potenzialità per diventare devastante.

Fino al gol, arrivato con la specialità della casa, di palloni puliti, giocabili, Osimhen ne aveva ricevuti davvero pochi. Solamente Mertens, quando gioca da sottopunta (e non al suo posto), riesce ad innescarlo come si vede; ma Mertens è talmente bravo a saper giocare in coppia con un altro attaccante (anche Milik andava a nozze col belga), che l’assist vincente che ha fatto a fettine la Sampdoria non rappresenta una novità. Prima del gol, la partita di Osimhen era stata comunque buonissima, per determinazione, sacrificio, ma certamente non per spunti determinanti in zona-gol: ecco, il Napoli deve rendersi conto di aver speso una cifra monstre non semplicemente per una boa chiamata a fare botte coi difensori avversari, capace di far salire la squadra a risultato già acquisito (per tutto questo sarebbe bastato Petagna o qualcosa di simile). L’Inter sta vincendo un campionato grazie allo strapotere fisico del suo numero nove – Lukaku: Conte ha costruito la sua idea di calcio su come sfruttare al meglio il suo bomber. Gattuso, ma soprattutto il prossimo allenatore, prendano esempio.

 

Fino al gol si fa vedere (a modo suo), ma i compagni lo ignorano: cerca come sempre di attaccare la profondità, però Mario Rui preferisce ricominciare l’azione con un passaggio all’indietro invece che con un uno in verticale. E’ attivo, però, Osimhen; prova a darsi da fare, anche all’interno di di una squadra abituata a giocare con tipologie di centravanti completamente diverse da lui: Mertens lega di più il gioco, anche lo stesso Milik era più partecipativo in fase di costruzione. Osimhen, invece, ha un suo modo di attaccare costantemente uguale, talvolta ripetitivo: lui allunga la squadra, vuole la palla non addosso ma nello spazio, sulla corsa. E che questa sia oramai la sua peculiarità c’è poco da discutere. Piuttosto occorre che Gattuso trovi una sintesi, un compromesso tra l’eccessiva ricerca della giocata in verticale da parte del suo terminale e la volontà invece del resto della squadra di controllare la gara facendo tanto possesso nella metà campo avversaria.

 

In occasione del gol che ha sbloccato il punteggio, invece, il Napoli ha deciso di accelerare. Lo stesso Demme, che raramente si prende la responsabilità di rischiare la giocata più ardita, anziché continuare a far girare il pallone all’indietro o in orizzontale alza la testa e verticalizza per Fabian, che aveva momentaneamente occupato una posizione più avanzata, all’altezza dei trequartisti, come a comporre una sorta di 4-1-4-1. Dopo circa mezz’ora di gioco in cui la Sampdoria stava tenendo botta ed il Napoli non riusciva ad alzare i ritmi, è bastato velocizzare lo sviluppo del gioco, ma soprattutto alzare uno dei due mediani, per creare superiorità numerica in zona centrale: tra la linea difensiva della Samp, infatti, e i due centrocampisti davanti, Fabian e Zielinski fungono da doppio ‘pivot’ e completano, con la preziosa collaborazione di Osimhen che fa da sponda al polacco, un’azione da manuale per fraseggio nello stretto e velocità d’esecuzione.

 

Per tornare al discorso legato a Osimhen, se è vero che la squadra deve interiorizzare le caratteristiche del nigeriano, è altrettanto vero che il centravanti di Gattuso debba imparare una serie di movimenti fondamentali per il ruolo che ricopre. Nella fattispecie, il Napoli i presupposti per mandarlo in gol li aveva anche creati, ma Osimhen è pigro nel tagliare davanti all’avversario anticipandolo sul primo palo: rimane alle spalle di Colley sperando in un cross alto di Mario Rui, che invece gli serve un pallone forte e teso che andava solamente accompagnato in rete. La fortuna di Osimhen sarà rappresentata dalla speranza che al posto di Gattuso arrivi un allenatore che abbia la pazienza di fargli capire in che modo attaccare e dividere (coi compagni) l’area avversaria: anche un fuoriclasse come Higuain, per esempio, nonostante fosse in assoluto già più formato e dotato di Osimhen, ebbe l’opportunità di affinare le sue capacità realizzative grazie alla conoscenza di un allenatore ‘particolare’, il suo mentore Sarri.

Alessio Pizzo

Studente in Comunicazione Digitale, appassionato di calcio, tecnologia e buone letture. Vanta già esperienza giornalistica con 100 *100 Napoli

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