MEGLIO GUARDARSI DIETRO!

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Niente grande vittoria, niente impresa, niente vendetta da consumare per i misfatti di Pechino e per l’assurda confitta dello Stadium ad Ottobre. Alla fine dell’attesissimo e fin troppo chiacchierato scontro al vertice ne viene fuori un pari sostanzialmente onesto, che può anche starci. La Juventus è stata pratica, concreta e attenta nel primo tempo, rintanandosi leggermente nella ripresa, ove ha tentato il colpo gobbo (è il caso di dirlo) senza arrecare danni come fatto con Chiellini. Il Napoli, scioccato e alle corde dopo la zuccata vincente del nasuto difensore (che strano, ha il vizietto di farci sempre goal …), ha avuto tutto sommato il merito di non mollare mai la presa, di credere nella possibilità di uscire dalla contesa senza aver subìto un’altra avvilente sconfitta; e nei secondi 45’ non solo si è spesso ritrovato a schiacciare Madama nella sua metà campo, ma anche offerto sprazzi di buon calcio. Merito soprattutto di Hamsik, il quale dopo un primo tempo nell’ombra è riemerso nella ripresa. E’ chiaro che, quando è costretto a giocare tra le linee, correndo avanti e indietro, il suo sacrificio è encomiabile, eppure il gioco d’attacco azzurro ne risente notevolmente, essendo lo slovacco uno notoriamente adatto a rifinire, piuttosto che a costruire. Nel complesso, come detto prima, l’impegno e la voglia di uscire da Fuorigrotta a testa alta non sono mai venuti meno da parte della squadra intera, in particolar modo da elementi come l’eterno Campagnaro e Dzemaili; la voglia di dare lo sgambetto alla Signora Omicidi era palpabile, anche troppo. Con questa troppa voglia e con questo desiderio eccessivo si spiegano, forse, la tensione, l’ansia, il nervosismo da cui sono apparsi pervasi i partenopei in diverse fasi del match, soprattutto dopo la rete juventina, il che ha generato ripetuti errori, molto banali, sia in fase d’impostazione che al momento di difendere. E comunque sia, voglia, impegno e sacrificio non bastano da soli a mascherare i soliti difetti di una squadra incapace di lottare per un traguardo superiore al semplice piazzamento Champions.

I difetti di chi? Di una persona a caso: Walter Mazzarri. Ha voluto dare fiducia ai titolarissimi, a quelli che gli danno le maggiori e migliori garanzie, a quelli che lui, unico e solo, definisce top players un po’ troppo pomposamente, fino alla nausea. I suoi fedelissimi, quelli ai quali farebbe da compare ai battesimi, quelli che possono anche avere la gamba rotta (anzi la mano, nel caso di Maggio), la febbre a 40 o l’orticaria, ma l’importante è che scendano in campo a fare cretinate. Per esempio Inler: gollonzo a parte (ringrazi Chiellini e Bonucci che hanno contribuito all’opera), ha perso palloni, sbagliato passaggi, servito sfere lente e ingiocabili, fallito duelli a centrocampo e, dulcis in fundo, si è lasciato scappare Lichsteiner in un’azione ficcante nella quale il penalty sul suo connazionale juventino c’era. Per esempio Maggio: è pur vero che nella ripresa ha spinto un po’ di più e ha finanche tirato in porta, ma nella corsa è asfittico e in fase difensiva ha sbagliato più d’una chiusura, riuscendo nell’impresa di far giocare una partita da Padreterno al suo duellante Peluso. Per esempio Pandev, ormai destinato a una carriera brillante come ‘universale’ da calcetto, sport del quale ha il passo lento e i tocchettini con le punte. E Sant’Iddio, caro mister: Insigne, che ha avuto a disposizione solo meno di mezz’oretta, non poteva giocare dal 1’? Non era possibile mettere l’egregio Zuniga sul suo lato naturale e puntare tutto su Armero fin dall’inizio, dalla parte opposta? Non si poteva catechizzare meglio tutto il collettivo, caricandolo di minori tensioni e non elettrizzandolo troppo, in modo da farlo giocare più rilassato, senza preoccupazioni, senza frenesie esagerate? E, alla luce del preoccupante calo fisiologico e nervoso di elementi-chiave, a cominciare dallo sbiadito Matador Cavani, come il suo staff tecnico ha preparato fisicamente i suoi ragazzi in vista di un palpitante finale di stagione? Sono domande alle quali l’umile Walter sicuramente non risponderà mai. O meglio, risponderebbe, ma con la solita risposta evasiva: “Che volete da me? Che ne so? Abbiamo molti punti in più rispetto all’anno scorso”. E al di là del calo fisiologico, ci piacerebbe sapere come mai questa squadra ricade nei suoi errori più frequenti, tipo quello di addormentarsi sulle palle inattive (ay ay, Britos …), oppure quello di concedere praticamente un tempo ai suoi avversari. Nemmeno in questo caso ci aspettiamo delucidazioni. Ad ogni modo, fosse stato apportato almeno un correttivo a questi difetti, probabilmente il Napoli avrebbe lasciato il San Paolo con una memorabile e utile vittoria. Memorabile perché ottenuta con l’acerrima e odiata rivale, utile a tenere lontane le inseguitrici e tenere vivo il grande sogno, se non altro dal punto di vista del morale. Niente di tutto questo, purtroppo. L’occasione è stata mancata, in maniera assurda, soprattutto ingenua. E forse è proprio questa ingenuità a spezzare ogni sorta di volo pindarico. E a doverci far pensare, già da domani, a Milan e Lazio, sperando che a San Siro si annullino a vicenda, magari con un bell’ X come quella di stasera.

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