LECCE COME NOVARA (O QUASI), MA A ROMA IL COLPACCIO E’ POSSIBILE

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Dopo la tranquilla sgambata con il Novara eravamo veramente convinti che il test di Lecce avrebbe potuto dirci se il Napoli si fosse lasciato alle spalle, o quasi, il suo momento più nero e se avesse ancora abbastanza credenziali, soprattutto dal punto di vista mentale, per poter dire la sua in chiave-Champions e giocarsela da pari a pari con la Juventus in finale di Coppa Italia; temevamo, inoltre, la sfida con i salentini, i quali venivano da una serie di risultati utili consecutivi, culminati col pareggio acciuffato in extremis all’Olimpico, che avevano riacceso in loro speranze tuttora intatte di salvezza. Subito dopo il fischio finale del signor Tagliavento non ci sentiamo di dire che tale test sia stato poco attendibile in tutto e per tutto, nonostante ciò occorre riconoscere che, almeno per quanto concerne la prima frazione di gioco, questo Lecce non ci ha dato dimostrazione di essere la squadra insidiosa e rognosa che, consapevole di avere nelle corde la capacità di evitare l’inferno della B, avrebbe giocato alla morte e con il coltello tra i denti pur di riuscire nell’impresa di battere i nostri azzurri, ancora alla ricerca di certezze dopo aver posto termine all’emorragia di punti delle ultime settimane. Ok, ammettiamolo: è stato anche fortunato il Napoli nel trovare la rete dopo soli cinque minuti, perché su quella punizione di Inler i difensori giallorossi evidentemente erano in vena di generosità parimenti ai loro colleghi novaresi, lasciando così ad Hamsik, solo al limite dell’area, la possibilità di sfruttare cinicamente l’occasione nel migliore dei modi (davvero niente male la girata al volo dello slovacco!); di fronte a un goal preso a freddo i nostri avversari avrebbero dovuto reagire coraggiosamente, invece, vuoi per il caldo asfissiante vuoi perché una volta tanto i partenopei hanno saputo fare argine in linea mediana, non hanno creato molti pericoli a De Sanctis e si sono resi pericolosi solo quando la difesa azzurra si è ritrovata, come al solito, troppo lenta e impreparata da essere capace di frenare una veloce azione di contropiede che però Muriel ha clamorosamente sciupato tirando addosso al Pirata Morgan. Chissà su quale binario avrebbe potuto indirizzarsi il match se il giovane sudamericano avesse avuto più lucidità in quella circostanza; ma, soprattutto, chissà a quale secondo tempo avremmo assistito se ancora Inler (buona prova la sua oggi), dopo una palla persa in attacco dai padroni di casa, non avesse spedito in porta Cavani con quel lancio preciso e millimetrico che il Matador non poteva non trasformare nella sue centesima rete in Serie A. Solo allora il Lecce si è reso conto di essersi dato la zappa sui piedi, solo allora la squadra di Cosmi si è fatta vedere più spesso nella metacampo del Napoli dando vita a qualche azione pericolosa; se ciò è avvenuto, tuttavia, è perché i nostri beniamini, a risultato ipotecato, hanno potuto impostare la partita nel modo che piace di più all’umile Walter, ossia cercando di colpire di rimessa (il che, per la verità, è successo solo nella fase finale) e attendendo l’avversario, una tattica che, data la stanchezza accusata dal nostro reparto arretrato la quale si è fatta sentire specie nell’ultimo quarto di gara, oggi avrebbe potuto essere rischiosa, evenienza che non s’è verificata solo perché gli uomini-chiave del Lecce (su tutti Di Michele, Muriel e Giacomazzi) non sono riusciti a essere affatto incisivi, giocando molto al di sotto del loro standard, soprattutto l’attaccante romano, che in passato aveva l’abitudine assai insistita di segnare contro il Napoli.

Alla luce di queste considerazioni, la partita del ‘Via del Mare’ ci dice che il test-Lecce non può darci licenza di affermare che la crisi del Napoli sia definitivamente terminata, appunto perché i salentini non hanno costituito un ostacolo assai insormontabile come s’era ritenuto alla vigilia; al di là di questo, ci dice comunque che, malgrado i cronici difetti caratterizzanti il modo di giocare e i problemi fisici conseguenti a una preparazione forse non svolta benissimo (ne è testimonianza l’infortunio occorso oggi a Campagnaro), il Napoli è ancora lì, a lottare per quel benedetto terzo posto. E’ ancora lì, in parte perché i ragazzi sembrano aver ritrovato la grinta, il cuore e l’impegno dei giorni migliori, in parte perché la situazione tra terzo e settimo posto ci mostra squadre che fanno di tutto per non volersela giocare proprio questa Champions: l’Inter le sta tentando tutte e ha avuto ragione di un’Udinese in calo fisico, ma l’inesperienza di Stramou alla lunga potrebbe influire, mentre Reja si è suicidato per l’ennesima volta a Novara. Sulla Roma, che attende il Napoli sabato sera e che è caduta in casa con la Fiorentina, occorre fare un discorso a parte: in questa stagione i capitolini hanno avuto un percorso tutt’altro che regolare e molto altalenante, e durante quest’ultima fase sembrano dare l’impressione di aver mollato proprio nel momento decisivo, pagando non solo la loro immaturità anagrafica ma anche il perdersi senza fine negli estetismi decadenti predicati da Luis Enrique, estetismi fini solo a sé stessi, utili a cambiare il nostro calcio in futuro ma inutili nel momento in cui si decide un’intera annata e in cui, mai come ora, è il risultato a contare. Se, a questa opinione sullo stato attuale di Totti & Co., aggiungiamo il fatto che la Roma ha vinto a Napoli soprattutto per demeriti degli azzurri e in circostanze alquanto fortunose, possiamo concludere che se gli azzurri giocheranno all’Olimpico con il cinismo visto a Lecce, con la grinta e la migliore convinzione già vista col Novara e con quella giusta concentrazione e attenzione che da sole possono fare la storia anche di una singola partita contro una squadra comunque temibile come quella capitolina, allora potremmo tornare ad assistere a un’altra grande serata.

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