L’ANTI-CAPOLAVORO DELLA TRIADE
Alzi la mano chi domenica sera, subito dopo il triplice fischio finale del sor Valeri, non avrebbe desiderato prendere una mazza da baseball e spaccare il televisore. Oppure chi, presente a Fuorigrotta, non si sarebbe voluto mangiare il biglietto dalla collera. Tre, forse quattro su mille, sarebbero riusciti a non dare in escandescenza e rimanere atarassici dinanzi all’inammissibile harakiri esibito dai partenopei al cospetto del Bologna. Altro che cinepanettone. Uno show avvilente, uno spettacolo indecoroso del quale i tifosi non sono degni. Non il primo dell’era De Laurentiis ad andare in scena, specie tra le mura amiche, e forse non l’ultimo, purtroppo. Altre repliche sono attese, simili in tutto e per tutto alla farsa tragicomica ammirata con i felsinei, e seguiteranno finché Mazzarri resterà il timoniere scellerato di una barca che naviga a vista. Finché a costruire la rosa azzurra sarà demandato il competentissimo e attivissimo dottor Bigon. E finché Don Aurelio non opererà una netta e decisa svolta: sul campo in primis, ma soprattutto a livello dirigenziale e finanziario.
I limiti del Santone livornese, ripropostisi in tutta la loro evidenza contro la compagine rossoblù, sono ormai noti. Sono quelli che spiegano come mai, Coppa Italia a parte, con lui null’altro si può vincere. Limiti tattici, innanzitutto, ben visibili nella riduttiva monotonia di uno stile di gioco duro a morire, le cui caratteristiche non è necessario descrivere, essendo ormai tristemente note ai più. Com’è ugualmente noto che per i colleghi del nostro allenatore sia uno scherzetto porgli freno con poche semplicissime contromisure. E ciò avviene perché, nel suo testardo integralismo, egli è convinto che quello sia un tipo di football redditizio. Così com’è cocciutamente convinto delle sue scelte a livello di uomini da schierare. E certo! Maggio è una garanzia. Zuniga è uno dei migliori esterni d’Europa. Pandev ha esperienza internazionale e deve solo trovare la forma in tempo utile. Invece Insigne altro non è che un ragazzino proveniente dalla B, e Campagnaro non deve giocare per punizione, perché è un piantagrane che ha fatto richieste esose alla società in merito alla sua situazione contrattuale. Massì, umile Walter! Continuiamo a lasciarci andare a questo irreversibile delirium onnipotentiae! Tanto che male c’è nel rilasciare in pubblico simili esternazioni? Che fa se il Napoli gioca sempre alla stessa maniera? Dov’è il problema se in allenamento, per quanto si sia perfezionisti e minuziosi, ci si dimentica di catechizzare mentalmente i ragazzi a essere meno distratti in fase difensiva, in particolare sulle palle inattive e sui cross? E a concretizzare di più sotto porta, invece di cincischiare e tentare l’ultimo passaggio? Va tutto bene, va benissimo. Siamo forti lo stesso, abbiamo più punti dello scorso anno, siamo terzi in classifica. L’unica sfortuna è quella d’incontrare sul nostro cammino giocatori come Kone che ti condannano segnando il goal della domenica. O anche, per esempio, quella di affrontare delle “signore squadre” con degli “allenatori preparati”. Vero, mister?
Per una piccolissima parte, tuttavia, non è soltanto colpa sua se il Napoli singhiozza. Nel concorso di colpe c’è, ovviamente, anche chi edifica il parco giocatori, ossia il brillante e valente Riccardo Bigon. Colui che ha il know-how per fare il team manager ma non il direttore sportivo. Colui che pertanto si limita a firmare il contratto già pronto, mettendo il sigillo su una trattativa che non conduce, ché la sua competenza calcistica si limita ai rimasugli fuori rosa delle altre squadre, portati in azzurro tramite affari last minute afferrati per il collo nelle ultime ore di mercato. L’uomo che, dall’alto della sua conoscenza pallonara, affida il compito di visionare i giocatori ad altri (vedi alla voce ‘scouting’), sicuro che questo Napoli è difficilmente migliorabile, tanto tra i titolarissimi come tra le riserve. Cannavaro out per ingiusta squalifica causa Calcioscommesse? No problem, c’è Fernandez. Aronica in partenza per Palermo? Chissenefrega, c’è Britos che basta e avanza. Campagnaro va a Milano a Giugno? Niente panico, Uvini è ok. Se Donadel, sua deludente invenzione, va via in prestito, un quarto mediano non serve, così come non serve il vice-Cavani dacché c’è già Vargas, altra sua gemma. Più di tanto non si può fare per migliorare questa squadra, i rinforzi vanno valutati di volta in volta e presi solo se strettamente necessario. E bravo, dottorino! Restiamo pure nella presunzione che questi calciatori vanno alla grande e sono quelli adatti, anche se prendono schiaffi dagli illustri sconosciuti del massimo campionato.
Si dice, però, che il pesce puzza dalla testa. E dunque, per quale motivo non dare una bella tiratina d’orecchie anche a chi regge i fili del giocattolo? Il presidente promette mari e monti, eppure ai proclami non seguono i fatti, almeno per ora. Un po’ per la sua malcelata tendenza alla parsimonia, un po’ perché si crogiola nella soddisfazione di usare il Napoli come specchietto per le allodole e un po’ perché, in conseguenza di ciò, rallenta nel cambiare rotta. Se rallenta, tuttavia, è anche per la mancanza di figure, all’interno dell’organigramma, che sappiano consigliargli le giuste strategie al fine di gestire meglio la sua creatura e portarla in alto. Una figura quale può essere, ad esempio, quella dell’amministratore delegato, latitante da queste parti da tempo immemore; una figura capace di mantenere sereni i rapporti tra squadra e società, magari con un pizzico d’intraprendenza nello scovare qualche bel partito. E in quanto al direttore sportivo, il nostro suggerimento l’abbiamo già dato: Bigon torni a fare il team manager e lasci campo a Giuseppe Santoro, scopritore dei giovani talenti partenopei da anni. Dal punto di vista finanziario, ciò che i tifosi (e noi con loro) continuano a chiedere a Don Aurelio è cosa ben nota: mettere mano al portafogli. Non per spendere e spandere, bensì per investire. Per farlo in sinergia e con spirito collaborativo insieme alle diverse componenti del Napoli, dirigenziali e tecniche, soprattutto potenziando queste ultime. Come? Certo non con Messi e Cristiano Ronaldo, sicuramente con giocatori validi, bravi, e con un allenatore moderno, versatile, di ampie vedute e, possibilmente, più umile di Mazzarri. Ma, come detto, il pesce puzza dalla testa. E poiché le soluzioni finali promanano da lui, ultimo a decidere su ogni cosa, nulla può cambiare finché egli stesso non si renderà conto che i cambiamenti urgono a tutti i livelli, anche nel suo concetto di essere presidente di una squadra di calcio. E tali cambiamenti vanno attuati già adesso, concretamente, anche per dare ai tifosi un barlume di chiarezza sui reali obiettivi. Senza tutto questo, il Napoli rimarrà sempre un capolavoro a metà. O, se si preferisce, un capolavoro alla rovescia, un anti-capolavoro capace di grandi imprese e di figuracce memorabili. Un anti-capolavoro come quello messo su senza pudori dall’eminentissima Triade, con buona (?) pace dei napoletani.