IL DELIRIO DI WALTER CONTINUA

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Il comportamento ambiguo e irrispettoso di Walter Mazzarri nei confronti dei mass media è ben noto. Diserta le conferenze stampa a Castelvolturno senza motivazioni ufficiali, oppure le tiene a orari improbabili, quando a interrogarlo sono in quattro gatti, per lo più quelli che non gli pongono le domande-trabocchetto sulle quali scivolerebbe. Nel dopogara si chiude nel silenzio, adducendo come causa cali glicemici e principi di crisi cardiache. In certe situazioni e con certi organi di stampa, dunque, il simpatico toscanaccio preferisce non proferire parola. Meglio allora affidarsi al mezzo di comunicazione più antico e più nobile, quello che consente di ritrovarsi in un clima rilassato, dove ti viene spontaneo persino ridacchiare, con un solo giornalista a farti le domande più ovvie fin quasi al punto da eliminare il contraddittorio. Così ha fatto l’umile Walter a Santo Stefano, rilasciando un’intervista-fiume al Corriere del Mezzogiorno nella quale si è riprodotto nei suoi soliti e infiniti deliri, non dissimili da quelli già uditi in altre occasioni, differenti forse nelle parole, ma non nella sostanza. Per carità, lungi da noi fare polemiche con il direttore Marco De Marco, colui che ha intervistato il tecnico livornese. Nostra intenzione è sottolineare – con ironia e un pizzico d’amarezza – come, attraverso le sue affermazioni, il mister faccia intendere di perdere il contatto con la realtà, restando prigioniero della sua boria sino a professarsi un guru o mago della panchina, un allenatore affermato abbastanza per poter ritenersi il fondatore di una filosofia calcistica vincente. Una filosofia, riprodotta sfacciatamente e senza pudori in quest’intervista, che diverrebbe senza dubbio alcuno l’argomento di un’opera letteraria. E non a caso, poco dopo l’inizio della chiacchierata con De Marco, il nostro allenatore fa una rivelazione clamorosa e incoraggiante (si fa per dire) per la quale ci sarebbe molta carne da cuocere al fuoco: esprime, cioè, il suo desiderio di voler scrivere un libro a cui starebbe pensando da diverso tempo e nel quale probabilmente vorrebbe illustrare il suo metodo illuminato di interpretare il football, metodo da esibire meramente alla pazza folla di aficionados sedotti e incantati dai suoi riti sciamanici. E cosa comparirà in siffatta opera letteraria? Innanzitutto, un capitolo intero dedicato a Hamsik. E perché non uno anche a Cavani? Come scrivere un libro sulla storia della Formula Uno e concedere lo stesso onore a Schumacher o Prost e dimenticarsi di Niki Lauda. Poi non ci stupiamo se nello spogliatoio azzurro si verificano tensioni e qualcosa si rompe, se magari il Matador va dal mister e gli sussurra: “Anche se fosse, perché a Marekiaro sì e a me no?”. Perché, dice Mazzarri, Marek è un bravo ragazzo e la sua storia è straordinaria; e perché la sua intelligenza è tale da unire “tecnica e visione di gioco, creatività e rispetto per le varianti di uno schema, vita e gioco”. Nulla da eccepire sullo slovacco, ma l’uruguagio non resterebbe proprio contento. Ad ogni modo, nel fantomatico ‘Calcio secondo Walter’, il Santone di San Vincenzo spiegherebbe, ad esempio, come fare goal e in quanto tempo: “una manciata di secondi: dieci, forse addirittura otto. Un lancio sulla fascia, un colpo di testa al centro e l'incursione dell'attaccante”. Facile, no? E spiegherebbe che il tempo di gioco del massimo campionato è diverso da quello della B, poiché, stando alle sue acutissime osservazioni, “il lancio è più potente, lo stop più preciso, la conclusione in rete più rapida. Se il calcio è potente, il pallone viaggia ad una velocità più alta; se lo stop è preciso, basta un solo tocco per ricevere e trattenere la palla. È tutto tempo che si guadagna. Così la tecnica cede tempo alla tattica e accorcia gli spazi in campo. Più tecnica, più tattica. Più tecnica, più velocità”. Disserterebbe sulle sue tattiche, minuziose e studiate a menadito tanto da richiedere un’illustrazione accurata con tanto di numerazione old style, dall’1 all’11, specie perché, com’egli stesso sostiene, “in effetti dò i numeri” (vogliamo ridere per non piangere? Massì, ridiamo!). Quindi, un numero per ogni giocatore, inserito in schemi di gioco da ricordare a memoria, come le tabelline. Così come da imparare a memoria sono le quattro varianti, a disposizione di ognuno dei calciatori, da eseguire per evitare le contromosse avversarie. Sì sì, questi schemi sono così semplici da apprendere che ormai tutti gli allenatori d’Italia li conoscono, imparando a bloccarli. E anche le varianti hanno la loro efficacia, ben visibile nella ripetitività caratterizzante il gioco del Napoli da diverso tempo a questa parte. Ma non è tutto. Nel suo sedicente compendio sullo sport più bello del mondo, Mazzarri non tralascerebbe le farneticazioni alle quali abbiamo prestato orecchio diverse volte, arricchite però da altre ancora più strambe, per esempio il fatto che è possibile prevedere l’esito di un’azione fino ai venti metri, dopodiché a decidere il tutto sono “le forze dell’ignoto: la casualità, gli eventi, il genio degli attaccanti”. Eh già, caro mister: se negli ultimi venti metri gli attaccanti azzurri cincischiano, o sbagliano la mira, oppure se la fanno addosso e non la mettono dentro, la colpa è del fato, della magia, di forze occulte scatenate da stregoni e affini, e non del tecnico ormai incapace di gestire al meglio e positivamente il collettivo. E sempre più preso dalla sua confusione mentale, tanto da affermare che con Dossena “abbiamo sfondato grazie alla difesa a tre” e con Zuniga “abbiamo rotto lo schema quando l'avversario ha tentato di neutralizzarlo”. What else? Ah sì, il calcio è dedizione assoluta, disciplina e rigore sia in campo che fuori, un serio professionista non può arrivare in ritardo agli allenamenti, non può vivere all’insegna della sregolatezza, non deve abboffarsi a tavola. Non è che per caso chi non rispetta tali tassativi venga messo draconianamente ai margini della squadra e non gioca? E non è che, in conseguenza di ciò, il giocatore epurato si deprima e cada in disgrazia, finendo nella lista degli scarti da dare al miglior offerente?Ha voglia Mazzarri di parlare a ruota libera, per non dire a vanvera, quando ne ha la possibilità, quando gli vengono rifilati gli indovinelli della Settimana Enigmistica piuttosto che quesiti concreti, atti a capire per quale motivo le cose nel Napoli non funzionano come dovrebbero. La paura di cadere sulle bucce di banana e lo stesso delirio da cui è totalmente posseduto lo spingono a eludere tali quesiti, ma non potrà andargli sempre liscia. Che s’arrabbi, e che gli capiti pure un moto di stizza, se a Castelvolturno lo colpiranno nel suo debole, magari formulandogli domande non lontane dalle dieci che gli abbiamo posto e alle quali ci attendiamo (invano, tanto lo sappiamo che ci eviterà…) una risposta seria, decisa, che focalizzi sul tema e che non fuorvii, che non glissi. E per quel che concerne il libro, se permettete, desidereremmo scriverne uno noi e dedicarglielo con lauta devozione. Un libro enorme, con tante, tantissime pagine, quante ne occorrerebbero per raccogliere figuracce, chiacchiere a vuoto, errori, equivoci, imprese gloriose (seh seh…), aforismi, pensieri, considerazioni più o meno importanti e azioni di vario genere che hanno visto protagonista l’umile Walter nei suoi quattro anni napoletani. Potrebbe venirne fuori un best-seller niente male, da regalare specialmente a chi continua a opinare che il Santone sia il tecnico number one in Italia. Titolo?  “Il calcio è una scienza inesatta”. Chissà quante copie venderebbe…

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