FANTASMI DAL PASSATO
Non doveva essere una nuova disfatta, dopo il terribile 5-1 dello scorso anno, e infatti non lo è stata. Però di certo non si può dire che il Napoli possa recriminare qualcosa, alla luce della prestazione offerta contro la sempre nefasta Atalanta. La vittoria dei nerazzurri, oggi come ieri, è da ritenersi sacrosanta anche perché ottenuta contro tutto e tutti. Onore al merito, nella sconfitta bisogna essere signori e saper riconoscere i meriti degli avversari. Insieme ai propri demeriti.
A vederla con sguardo retrospettivo, nel primo tempo pareva quasi di assistere ad un benaugurante remake della gara contro la Lazio. Reja aveva saggiamente detto ai suoi di stare guardinghi, di studiare attentamente gli avversari e non scoprire voluttuosamente i fianchi come accaduto un anno fa. I ragazzi parevano seguire diligentemente i dettami del mister perché gli avversari facevano parecchia fatica a trovare la via del gol. Probabilmente molto ha influito in tal senso la scelta di Del Neri di schierare lo staticissimo Bobone Vieri lì davanti ed arretrare Doni sulla linea mediana, mossa dettata forse anche dalle defezioni al centro del campo. Così tutta l’imprevedibilità suggerita dai tre uomini a supporto dell’imprevedibile Floccari – grimaldello tattico nella gara della scorsa stagione – andava a farsi benedire con il visibile pedaggio pagato alla pericolosità offensiva. Tanto meglio per il Napoli che puntava la rete con un paio di sortite in contropiede targate Denis e Lavezzi. Poi ci si è messa la mano (mai come stavolta) della malasorte che ha tolto dal campo il pimpante Denis, sostituito dal “satellite” Zalayeta. L’uruguagio (e non è una notizia fresca) gravita attorno all’area di rigore come se fosse la luna con la terra, a distanza di sicurezza per non turbare gli equilibri. Rappresenta forse un innesto di una qualche pericolosità quando c’è un lucido Hamsik ad infilzare dalle retrovie. Appunto, quando c’è. Perché oggi lo slovacco è sceso in campo solo nel momento decisivo, il calcio di rigore trasformato in maniera magistrale. Per il resto della gara Marek ha latitato sistematicamente dal fulcro del gioco in una di quelle preoccupanti pause che si prende sempre più spesso: urge continuità nel rendimento se aspira davvero a diventare il campione che tutti abbiamo pronosticato.
Eppure in un modo o nell’altro l’ingresso del Panterone si rivela decisivo. Dalla sua discutibilissima espulsione infatti si accende la miccia della partita; il fuoco ce lo mette l’arbitro Brighi che inizia ad arbitrare alla rovescia a tutto svantaggio, bisogna essere onesti, dei padroni di casa. Opinabile il fallo da rigore su Lavezzi, anarchica la gestione dei cartellini, clamoroso il penalty negato agli orobici che avevano più di un motivo a lamentarsi del direttore di gara. Alla fine però tutto torna nei binari della logica e la meritocrazia trionfa ugualmente, perché il risultato è figlio del secondo tempo da schiaffi giocato dagli azzurri: forse i peggiori 45 minuti dall’inizio dell’anno. Il centrocampo partenopeo si è lasciato surclassare dalla fisarmonica orchestrata dallo scaltro Del Neri. Citiamo il polifonico strumento perché lo schema del tecnico atalantino prevedeva che gli esterni stringessero al centro quando appoggiava Doni, creando parità numerica, senza per questo togliersi lo sfizio di affondare sulle laterali quando il capitano arretrava. Se n’è giovato Ferreira Pinto, ancora man of the match come undici mesi fa. Nella ripresa il brasiliano è esploso mandando al manicomio sia Vitale che il finora ineccepibile Contini, a spasso come un bambino alle giostre in occasione del primo gol. E se crolla anche il muro eretto nelle scorse undici giornate dal centrale lombardo c’è poco da fare, vuol dire che era davvero una partita-no.Arriva dunque la sconfitta, la terza in campionato per il Napoli. E di certo la più netta, la più ineccepibile anche sul piano tattico. Una battuta d’arresto che lascia qualche segno sul felice momento partenopeo più di quanto avevano fatto in precedenza Genoa e Milan, prestazioni tutto sommato incoraggianti. E anche la classifica inizia a tornare sulla terra con i valori reali che pian piano si ristabiliscono, lassù in cima. Che la banda Reja fosse lì solo in transito temporaneo lo sapevano anche i muri, ma questo non vuol dire che non vi fosse con merito. Per tornare a sognare basta ritrovare condizione e fiducia poiché le qualità sono ancora quelle lì, intatte nonostante la batosta. E per fortuna in Italia di bestie nere, al Napoli, ormai ne restano poche.