Esclusiva PN, Pavarese : “Gioie e dolori da dirigente partenopeo. Napoli in crisi? Solo in campionato, può vincere l’Europa League. Turnover? Ecco la mia idea”

pavareseL’intervista esclusiva realizzata da Pianetanapoli.it all’ex segretario e direttore sportivo del Napoli Luigi Pavarese.

Ha fatto parte degli anni più gloriosi della storia azzurra, quelli dei trionfi italiani ed europei. Pianetanapoli.it ha contattato in esclusiva Luigi Pavarese, un’intervista fiume in cui l’ex direttore sportivo del Napoli ci ha raccontato le emozioni vissute all’ombra del Vesuvio, oltre a darci il suo parere sulla crisi che ha colpito gli uomini di Benitez in campionato e le sue speranze sul cammino in Europa League.

 

Salve Pavarese, è sempre un piacere parlare con un uomo che ha fatto parte della storia recente del Napoli. Ci racconta le emozioni delle sue molteplici esperienze all’ombra del Vesuvio?

Parafrasando Jovanotti posso affermare di essere stato un ragazzo fortunato, perché ho avuto la fortuna di poter lavorare per la mia squadra del cuore. Sono stato prima segretario per la società negli anni d’oro, quelli di Maradona, degli scudetti, della Coppa Uefa, della Supercoppa Italiana. La gioia del primo scudetto non è paragonabile a nulla, quella vittoria rappresentava per un ragazzo di 22 anni come me il coronamento di un sogno, per poi toccare il cielo con un dito una volta diventato direttore sportivo della società; qui nasce un mio grande rammarico, perché nella mia carriera di direttore sportivo ho si vinto un campionato di B con il Torino e quello di C con l’Avellino, ahimè proprio contro il Napoli, nella stagione 2004/2005, purtroppo come direttore sportivo dei partenopei non sono riuscito a dare, soprattutto ai tifosi, le soddisfazioni che meritavano, ricordo quella finale di Coppa Italia persa con il Vicenza, ma soprattutto la retrocessione nel 2001, quando la squadra venne affidata prima a Zeman e poi a Mondonico; io presi parte alla costruzione di quella squadra e speravo fino alla fine di poter raggiungere la salvezza, purtroppo così non è stato. Lo stesso si può dire per il fatto di non essere riuscito poi a riportare gli azzurri in Serie A per una manciata di punti, ma io resto tifoso del Napoli e legatissimo a questi colori, che mi hanno lanciato e consacrato nel mondo del calcio, oltre ovviamente all’Avellino che mi ha visto nascere.

Allodi, Marino, lo stesso Moggi; non si può certo dire che lei non abbia lavorato al fianco di personalità di spicco del mondo pallonaro.

Posso dire di avere avuto grandi maestri, Pierpaolo Marino è stato il mio mentore, il primo a credere nelle mie qualità e capacità, se sono arrivato a Napoli lo devo solo a lui che ha voluto che lo seguissi. Determinante per me è stato poi l’incontro con Moggi, quando Marino andò via da Napoli ero intenzionato a lasciare anche io perché pensai che Moggi volesse portare con se i suoi uomini di fiducia; invece averlo incontrato è stato un punto di svolta per la mia carriera, perché è come se io staccasi il cordone ombelicale che mi teneva unito a Marino, con cui il rapporto era come tra un fratello maggiore e un fratello minore, io appunto. Con Luciano invece tutto divenne più professionale, e poi il rapporto si intensificò molto, al punto che dopo Napoli l’ho seguito a Torino, e lui è stato quello che ha intravisto in me delle doti probabilmente nascoste fino a quel momento, e mi ha dato la possibilità di misurarmi in ambienti completamente diversi. Ho avuto poi la breve esperienza con Nicola Allodi, ma lui per tutti noi è stato un punto di riferimento, quella figura professionale a cui tutti abbiamo ambito. Inoltre vorrei citare altri due grandi maestri, il compianto presidente dell’Avellino Antonio Sibilla, e poi Corrado Ferlaino, una persona di grande carisma e di grande fascino, molto competente e con il quale ho anche litigato, ma verso cui mantengo sempre grandissima stima e affetto.

A proposito di Marino, immaginiamo sia a conoscenza di quanto avvenuto in Napoli-Atalanta. Che giudizio si sente di esprimere in merito agli episodi che hanno caratterizzato questa sfida?

Si ho visto la partita, anche se è stato complicato dopo quanto successo in settimana, per la partita di un carissimo amico oltre che un punto di riferimento per la tifoseria partenopea, Pasquale d’Angelo, con il quale mi sono sentito proprio il giorno prima la partenza per la Russia. Per quanto riguarda il match, dispiace che il Napoli trovi grande facilità nella costruzione di palle gol ma ha tanta difficoltà nel mettere il pallone in rete; anche contro l’Atalanta si è creato tanto ma poi purtroppo non si è concretizzato. Guardando invece alla direzione di gara di Calvarese, si resta stupiti di come si sia potuto considerare l’intervento di Pinilla su Henrique un contrasto regolare, perchè per la dinamica può sembrare che il piede dell’attaccante cileno non crei ostacolo al difensore azzurro, ma c’è quel braccio con cui Pinilla effettua una spinta che è clamoroso, e mi domando come si faccia a non vederlo; il giudice di porta può anche non rendersene conto, ma l’arbitro era dietro e al contrario di quanti sostengono molti in una posizione corretta secondo me per valutare correttamente quella situazione.

Al di là degli errori arbitrali, il Napoli sembra comunque aver perso lo smalto che aveva caratterizzato i primi due mesi del 2015, con una vittoria che in campionato manca dal 23 febbraio. Quali sono le motivazioni che possono essere alla base di questa crisi?

Questo è un discorso a cui farei riferimento solo per il campionato però, e c’è comunque da dire che il Napoli contro l’Atalanta, a mio parere, non ha demeritato, creando ben otto occasioni da gol pulite, con Sportiello che fatto ancora una volta il fenomeno. Purtroppo la Lazio ha fatto bottino pieno nelle ultime sei partite e dal -8 è passata a +5, e c’è da dire che i biancocelesti non hanno avuto un calendario proprio agevole, andando ad incontrare anche una squadra in gran forma come la Fiorentina  strapazzandola con un 4-0.

In Europa League il discorso sembra invece diverso, con gli azzurri che sono arrivati ai quarti di finale della competizione. Per la sua personale esperienza, si è arrivati ad un punto in cui le motivazioni si moltiplicano al di là dell’avversario per la consapevolezza che è possibile arrivare fino in fondo?

Per l’Europa League bisogna fare un discorso diametralmente opposto, proprio perché le motivazioni sono diverse, l’approccio è diverso, e non sono d’accordo quando si dice che il Napoli in Europa abbia fatto bene incassando anche pochi gol perché non si sono incontrate formazioni di livello, e credo che gli azzurri possano battere il Wolsburg, al di là del fatto che si giochi il ritorno al San Paolo; stiamo parlando in ogni caso della squadra seconda in Germania alle spalle del Bayern, ma sono due formazioni che si somigliano molto, con grandissime potenzialità in avanti ma qualche problemino in difesa. Ribadisco, chi ha masticato calcio sa che giocare sul palcoscenico europeo da motivazioni completamente diverse, e credo che il Napoli per la sua forza possa ma soprattutto debba prendere consapevolezza del fatto che l’obiettivo è quello di arrivare a vincere la competizione.

Per i più, in ogni caso, con i frenetici ritmi che caratterizzano il calcio moderno sembra davvero impegnativo battersi su tre fronti senza perdere lucidità e brillantezza. Lei concorda?

Dipende, Mourinho ad esempio nell’anno del triplete ha dimostrato il contrario, perché praticamente giocavano sempre gli stessi calciatori. Non sempre è utile fare generalizzazioni, bisognerebbe vivere la quotidianità e conoscere i particolari, dopo è facile parlare. Chiaramente se uno ha a disposizione una rosa con più elementi validi e poter effettuare una turnazione è un vantaggio, ma è successo che Benitez è stato criticato per aver fatto un turn over eccessivo nella gara di Verona, ma io credo che se il tecnico sceglie di mandare in campo un calciatore è perché durante la settimana gli ha dato garanzie sulla sua affidabilità sia fisica che tecnico-tattica, poi succede che il calciatore non renda e allora a questo punto si pensa che sarebbe meglio far giocare sempre i cosiddetti “titolarissimi”, anche perché credo che giocando si acquisti la forma migliore. Ma ripeto, sono considerazioni fatte dall’esterno, bisognerebbe conoscere le problematiche all’interno di ogni spogliatoio.

Per quanto riguarda l’organigramma societario, sin dai tempi di Marino l’era De Laurentiis è stata caratterizzata da una struttura abbastanza scarna in tal senso. Crede che questo possa influire sulla crescita di una società che dopo 10 anni sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno della sua pur breve storia?

Io credo che fin quando De Laurentiis vorrà dedicare una parte importante del suo tempo e dei suoi sforzi al Napoli non ci sarà bisogno di modificare numericamente la struttura societaria, qualora invece il presidente per suoi motivi personali dovesse decidere di dedicare meno tempo al Napoli starà poi a lui decidere se affidarsi alla competenza e alla professionalità di altri profili. 

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