WALTER CONTRO WALTER: IL PERCHE’ DI UN RITORNO A CASA
Tra i giocatori ancora legati al Napoli, benché in prestito ad altri club (Fernandez, Vargas, Cigarini, Vitale e compagnia cantante), Walter Gargano è forse colui al quale i napoletani sono rimasti più legati. Sono passati dieci mesi, eppure accettare il suo addio non è stato facile per chi ha ancora negli occhi i suoi sprint in linea mediana e le sue efficaci randellate, utili a spezzare il gioco avversario e strappare i “Bene! Bravo!” di Fuorigrotta. Un addio che, sebbene con meno livore, continua a fare rabbia, specie se si pensa alle cause che l’hanno determinato. Anzi, alla causa. A quella causa che tutti conoscevano, ma che altri hanno provato a nascondere. Invano, però. Perché tutti, cani e porci compresi, sanno che la partenza del Mota è dipesa dai rapporti ormai logori con una certa persona che porta identico nome di battesimo. La stessa persona da poco chiamata a guidare (guarda un po’ …) la squadra alla quale il giocatore è ancora in prestito. A questa persona, al secolo Walter Mazzarri da San Vincenzo (LI), il povero Gargano non è mai andato a genio. Quando il Santone allenava i partenopei e l’uruguagio era alle sue dipendenze, gli attestati di fiducia e le dolci frasi da pater familias (“E’ come un figlio per me”) lasciavano ben presto il posto alle parole fuori posto e ai litigi. “Si cresce anche così”, sparò sicuro l’umile Walter dopo un 2-0 a Bari, dando a intendere che la maretta fosse passeggera e terminasse presto, tanto alla fine parla sempre la prestazione sul campo. Poi, a giustificare il malumore del ragazzo e i rumours che lo davano per partente, le succitate beghe contrattuali tra il Napoli e i procuratori, quasi un leit-motiv nell’era De Laurentiis (vedi alle voci Campagnaro e Zuniga). Infine, la goccia che avrebbe fatto traboccare un vaso già in frantumi da una vita: l’esclusione dai titolarissimi. Nel 3-5-1-1 partorito la scorsa estate in quel di Dimaro, non c’era più spazio per il cognato di Hamsik. Massì, chi meglio di Inler e Behrami? Chi meglio di una moviola fatta uomo, buono solo a far goal da lontano, e di un gigante dalle gambe di marmo ma dai piedi non proprio alla Verratti? Tutte queste ragioni prese insieme, per quanto possano essere più o meno fondate, nascondono ad arte il reale motivo che spiega la cacciata del Mota dal Napoli: ossia, la mancanza di polso dell’umile Walter nei confronti di giocatori dalla forte personalità come il centrocampista. Tutti sanno che Gargano era uno dei leader degli spogliatoio azzurro, un trascinatore anche fuori dal campo, capace di imporsi con la sua forte tempra e di farsi voler bene dai compagni di squadra. Un uomo coi cosiddetti attributi, coraggioso nel voler esternare il suo pensiero e, dunque, nel manifestare disgusto e disapprovazione per i codici e le gerarchie del mister. Il quale si riterrà anche un top coach, ma mostra il fianco e dà il peggio di sé nella gestione democratica del gruppo, nell’affrontare face-to-face chi lo supera per distacco dal punto di vista umano, meritandosi ampiamente il posto da titolare. Uomini come Gargano (ma potremmo fare anche altri esempi, tipo Lavezzi), Mazzarri non li può allenare. Provate a immaginare il primo pensiero passato per la sua mente alla notizia dell’approdo all’Inter: “Oh Dio bonino, e chi ce la fa adesso che mi ritroverò tra i piedi quello lì…?”. Ed è appunto perciò, per questa risaputa mancanza di gradimento di Walter M. nei confronti di Walter G., che l’Inter avrebbe deciso di non versare i circa 5 milioni di Euro necessari a riscattare il prestito oneroso del mediano. Non per motivi tecnico-tattici, non perché il giocatore non fosse piaciuto a Moratti e soci, cosa poco plausibile viste le sue dignitose prestazioni in nerazzurro. Ma soltanto per accontentare una singola persona, per soddisfare il suo capriccio, la sua fisima, il suo primo diktat da neoallenatore della Beneamata. E ne consegue che il Mota, anziché con la sicura riconferma, rimane con le valigie in mano e il biglietto di ritorno per Napoli. Dove rivedrà i tre svizzeri che gli hanno soffiato il posto, ovviamente non per colpa loro. Dove ritroverà una società troppo remissiva e arrendevole verso chi l’ha voluto mettere alla porta. Dove farà i conti con quei tifosi (pochi per fortuna) che l’hanno definito un voltagabbana per aver detto “sognavo l’Inter fin da piccolo”, simili a quelli che a Febbraio-Marzo hanno accusato Cavani di essere un traditore per il sol fatto di non segnare più. A Napoli, però, ci sarà anche Benitez. Lo spagnolo conosce i giocatori di mezzo mondo, figuriamoci se non è al corrente di tutte le credenziali tecniche e caratteriali di un punto fermo della Nazionale Uruguagia. E figuriamoci se non tenterebbe di mettere alla prova colui che, da epurato trattato nel peggiore dei modi, potrebbe ridiventare elemento utile del nuovo Napoli, così da ritrovare i sorrisi e gli applausi di una piazza nella quale ha lasciato il cuore, dando uno schiaffo morale al peggior nemico della sua carriera calcistica.