Tatticamente – L’ultimo campanello d’allarme
Non è vero che era una partita che non contava, come ha lasciato intendere Carlo Ancelotti. Bologna-Napoli serviva innanzitutto per sfondare il muro degli 80 punti, obiettivo dichiarato dallo stesso Ancelotti, che qualificazione Champions a parte, non è riuscito a tagliare nessuno dei traguardi che si era prefisso. La partita del “Dall’Ara” un senso ce l’ha avuto eccome: innanzitutto anche il Bologna non aveva motivazioni, eppure si è impegnato come se avesse dovuto ancora centrare la salvezza; nel Napoli molti giocatori avevano da dimostrare qualcosa, e invece hanno deluso fino alla fine. Su tutti Verdi e Insigne, che chiudono una stagione assolutamente opaca (il primo), per usare un eufemismo, e insipida, il secondo, che in tutto il girone di ritorno è apparso decisamente involuto e svogliato. Resiste, invece, l’idea di calcio di Ancelotti che immaginiamo riproporrà anche il prossimo anno: nonostante la sconfitta, la squadra ha controllato il match e prima della rete dell’1-0 firmata da Santander, non aveva dato grossi segnali negativi che potevano lasciare intendere che Karnezis potesse subire due gol in due minuti; anzi se c’era una squadra che meritava di passare in vantaggio quella era proprio il Napoli, peccato “solo” per la mira poco precisa di Insigne e Verdi, le cui conclusioni non hanno nemmeno inquadrato lo specchio di Skorupski, che tutto sommato in 90’ non ha compiuto nemmeno una parata. Discutibile la scelta di Ancelotti di tener fuori il miglior uomo del momento, l’unico tra gli attaccanti in grado di segnare con continuità, vale a dire Mertens. Ancelotti gli ha preferito Younes schierato accanto a Milik, con Insigne e Verdi più larghi. Il tedesco, dunque, e non Lorenzo nel ruolo di seconda punta: un modo per testare l’ex Ajax pure in una zona di campo più centrale, e soprattutto per mettere Insigne a proprio agio in un ruolo che avrebbe dovuto permettergli di partire dalla sinistra per poi dialogare nello stretto con gli altri compagni di reparto. È stato detto – anche a giusta ragione – che uno dei motivi del calo di Insigne nella seconda parte della stagione, e quindi a partire dal 2019, fosse il fatto di giocare diversamente rispetto a come era stato abituato nel corso di tutta la sua carriera, nonostante nei primi mesi del cambio modulo avesse dimostrato una certa predisposizione a diventare il nuovo numero 10 del Napoli. Si pensava infatti ad una evoluzione del modo di stare in campo di questo calciatore, ad una soluzione che potesse avvicinarlo alla porta per permettergli di segnare di più e non essere ricordato solo come uno straordinario uomo-assist (nel tempo è diventata celebre l’intesa nata con Callejon che andava a rete proprio grazie ai suggerimenti del compagno). Bologna, però, ha dimostrato che il problema di Insigne non è meramente tattico. Ha giocato esterno, o comunque non da prima/seconda punta, ed ha fatto male lo stesso: non gli riesce nemmeno il tiro a giro, ha perso anche lucidità nella lettura delle situazioni, dove in altri momenti sarebbe stato decisivo anche solo con un passaggio illuminato. Evidentemente il gol su azione gli manca, e si vede: ciò lo costringe a ignorare le giocate semplici e a preferire piuttosto una iniziativa personale spesso fine a se stessa e dannosa per gli altri – vedi la palla persa che regala il raddoppio all’ex Dzemaili.


