RICORDO DI ENZO BEARZOT

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Suo padre era un funzionario di banca, e non vedeva di buon occhio l’ insana passione del figlio verso una semplice palla. Ma il giovane Enzo già nell’età adolescenziale aveva nel suo Dna quella tipica, spesso positiva testardaggine dei friulani, che lo ha portato nel 1982 a diventare, dopo il mitico Vittorio Pozzo, il secondo italiano a fregiarsi nel ruolo di allenatore del titolo di campione del mondo. Un’impresa che il tempo ha reso ancora più leggendaria,  perché assolutamente inaspettata alla vigilia della spedizione in terra di Spagna. Ma il cocciuto Bearzoti, che come diceva l’ altrettanto GRANDE Gianni Brera “ Predicava male e razzolava bene “, ebbe la forza di insistere, contro il parere dell’ Italia intera, su Paolino Rossi, oggi felice imprenditore nonché commentatore televisivo, reduce da due anni di squalifica e da prestazioni non proprio altisonanti. E come d’ incanto, il “Pablito nazionale “ ritrovò quella irresistibile capacità di far gol, che l’ aveva reso famoso in Argentina nel 1978. E dopo la stessa squadra di Maradona, caddero come birilli l’ immaginifico Brasile di Zico, Socrates e Falcao, la Polonia di Zibì Boniek e in finale la Germania di Rumenigge. Cosicché, come nella migliore tradizione dell’ italica mentalità, l’onesto Bearzot divenne immediatamente l’ eroe della patria, calcistica e non. Del resto, anche il buon Enzo, ben sapeva bene che lo sport più diffuso in Italia non è il calcio, bensì quello di salire sul “ Carro del vincitore “.

Enzo Bearzot era nato ad Aiello del Friuli il 27 settembre 1927. Con la promessa di prendere almeno la maturità classica, il severo genitore gli consente di continuare a provare la carriera di calciatore. L’ esordio avviene con la Pro Gorizia, ma le sue doti da indomito combattente non tardano ad essere notate ben più in alto, addirittura dall’ Inter. A  Milano ( dove conoscerà la futura moglie e dove si fermerà a vivere per sempre ), resta tre anni, poi è la volta di Catania in serie B. Dopo aver conquistato la promozione con gli etnei, risale la penisola per diventare una bandiera del Torino, del quale diverrà l’ irriducibile Capitano. Da allenatore, dopo una breve esperienza con il Prato, entra nel giro delle nazionali nel 1969. Fa esperienza in Messico con Valcareggi, e come “ Head Coach “ nell’ Under 23. Affianca alla guida della Nazionale A nel 1975 Fulvio Bernardini, per poi diventarne selezionatore unico nel 1977. Dopo il 4° posto il Argentina nel 1978 e la vittoria in Spagna, lascia definitivamente la panchina dopo l’ infausto mondiale del 1986. Fautore e credente dell’ importanza del gruppo, è stato una magnifico interprete della tattica all’ italiana, erroneamente passata alla storia come quella del “ catenaccio “. Basti pensare che lo schema tipico delle squadre di Bearzot, erano impostate su due punte e due mezze punte di ruolo. Ma come diceva Albert Einstein,  “ E’ più facile distruggere un atomo che un pregiudizio “. Zoff, Scirea, Conti e Tardelli i giocatori ai quali il “ Vecio “ era più affezionato. Dopo un Italia – Danimarca del 1980, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, lo encomiò dandogli del “ Bravo e onesto “. I suoi ragazzi oggi lo hanno ricordato con le lacrime agli occhi, e non in senso figurato. A volte, ancor oggi, c’ è un premio per gli onesti.Addio carissimo “ Vecio “

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