I MALATIFOSI

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Partiamo da due presupposti fondamentali. Il primo è che alle parole di un pentito di camorra vanno fatti sempre peso netto, peso lordo e tara. Il secondo è che quella deiezione umana che giusto un anno fa rapinò Valon Behrami in pieno centro potrebbe essere benissimo prima un delinquentello abituale e poi, solo poi, un tifoso del Napoli. Da questi due assunti si potrebbe partire per non gettare la croce addosso al mondo Ultrà, spesso capro espiatorio suo malgrado per l’inevitabile presenza di mele putrefatte nel proprio organico. Ma questo proprio a voler fare gli avvocati del diavolo a tutti i costi, anche quando quel diavolo vorresti mandarlo all’inferno a calci nel sedere. 

 

Com’è e come non è, alla fine il discorso va sempre a parare lì. Sarà anche un caso, ma spesso e volentieri quando c’è qualcosa di poco chiaro intorno al Napoli e ai suoi calciatori ci scappa sempre l’Ultrà. Fra gli esempi recenti, su tutti c’è il disgustoso episodio di Napoli-Frosinone, quando esplosero petardi a ripetizione per far sospendere la partita, al fine di ricattare De Laurentiis. E via un campionario di annessi e connessi, dalla tratta dei biglietti all’armamentario nascosto dal custode dello stadio, passando per l’arroganza e i toni malavitosi assunti dai soliti noti nelle resse ai botteghini. In mezzo rapine e furtarelli vari, benché non tutti riconducibili alle tifoserie organizzate. Nel caso in questione pare (pare) che addirittura la rapina sia stata una sorta di “punizione” per non aver partecipato ad alcuni eventi organizzati dai tifosi. Quindi lo scopo di lucro, quindi il freddo calcolo sulla pelle degli altri tifosi, la passione trasformata con l’inganno in un lavoro, anche piuttosto remunerativo. Lo schifo che intacca una cosa di per sé bella, come fosse una secchiata di cacca su una foto di famiglia. Già, perché non bisogna mai generalizzare: in questi gruppi ci sono tantissimi ragazzi che nell’amore per la propria squadra del cuore trovano la valvola di sfogo di settimane difficili, con un tifo che talvolta raggiunge picchi di folklore e di originalità che il borghesotto da tribuna può solo sognarsi la notte. Ma purtroppo il confine fra calore umano e rifiuto umano diventa labilissimo, perché in mezzo ai tifosi veri c’è anche un superstrato di letame che con certa roba ci lavora, nel vero senso della parola, a spese di chi invece pensa di star difendendo una causa più grande e infinitamente nobile. Furti, estorsioni, compravendita di biglietti e favori: una teppaglia eversiva che non di rado confluisce anche nella politica, entrando a rompere le scatole anche ad esempio in manifestazioni in cui il calcio non c’entra un bel niente. 

 

Alla fine il discorso è sempre lo stesso: tutte queste persone oltre a fare i tifosi nella vita fanno anche qualcos’altro. C’è chi ha un lavoro, una vita onesta e pulita, e poi nel weekend ama sfogarsi con il suo Napoli; c’è chi invece preferisce vivere da parassita, alle spalle degli altri, che siano calciatori, tifosi o gente “normale”. Per questi elementi qui essere un Ultrà è uno status symbol, legittimazione sociale di una vita altrimenti inutile. Ecco, forse la sfida più grande per l’intero movimento può essere proprio questa: isolare i tumori ed estirparli, prendendo nettamente le distanze da chi infanga la categoria. Probabilmente è l’unica possibilità per uscire puliti da tutte queste brutte voci.

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