Giustizia per Denis: ‘Il calciatore suicidato’

Scritta nel 2001 dopo ‘Nel fango del dio pallone’, la seconda opera di Carlo Petrini fa luce brillantemente sulla morte del giocatore del Cosenza Donato Bergamini. Strana, ma non del tutto misteriosa

Di Carlo Petrini abbiamo già parlato nella nostra rubrica. Del suo Fango del dio pallone (2000), la confessione-fiume delle sue malefatte, della sua carriera sciupata tra donne di una sera, punturine alteranti e Totonero. Un ritratto crudo simbolo di un mondo sudicio, di quel sottobosco escrementizio e lurido all’origine delle metastasi del football di oggi. E non solo in Italia. Un libero sfogo con il quale Petrini ha voluto pentirsi da un lato e dall’altro scrollarsi di dosso un peso portato per anni. Riuscendoci. Specie se si pensa che da allora in poi l’ex attaccante di Genoa, Roma, Milan e Bologna ha deciso di non fermarsi più nel rendere giustizia non già a se stesso, ma a chi di calcio è morto. Di malattia (come lui, divorato dal tumore nel 2012). Oppure perché, facendo uno dei mestieri più belli al mondo, è stato tirato in ballo in storie sporche e troppo grandi. Tipo Donato Bergamini, detto Denis. Chi è? Cosenza a parte, in Italia pochi si ricordano di questo ragazzo. Forse è proprio per questo, per rinfrescare la memoria nebulosa dei più, che nel 2001, appena un anno dopo il Fango, Petrini dà alle stampe Il calciatore suicidato – La morte senza verità del centrocampista Donato Bergamini. Il titolo anticipa tutto. O meglio, dice tutto.

VITTIMA INNOCENTE NEL POSTO SBAGLIATO – “Come ex giocatore che ha conosciuto bene la faccia nascosta del calcio, in questo libro ho tentato di chiarire alcuni dei retroscena della morte di Bergamini: mi sono studiato gli atti della magistratura, ho fatto ricerche e ho intervistato un po’ di persone, anche a Cosenza. Insomma, ho fatto quello che nessuno dei giornalisti sportivi ha mai fatto: loro sono troppo impegnati a leccare il culo del potere pallonaro e dei suoi divi, per occuparsi di un giocatore di serie B morto ammazzato come un cane”. Lo scrive Petrini nella prefazione del libro. E non è che la breve premessa di quanto esso rappresenta. Un libro-indagine, un’inchiesta inufficiale e comunque coraggiosa e reale, sebbene parente povera di quella ufficiale ma condotta in modo svogliato e indolente. O addirittura un giallo, un noir, un’opera dalla quale spuntano fuori burattinai capaci di muovere un’immensità di fili, personaggi intoccabili e onnipotenti da poter condizionare a loro piacimento ogni risma di affari. Padroni di un mondo tutto ai loro piedi, governato da meccanismi che non possono conoscere opposizione né ribellione. In questo mondo bollente, la Calabria degli anni ’80 soffocata dalla ‘Ndrangheta (come oggi del resto), si ritrova coinvolto suo malgrado il morigerato ferrarese Denis. Petrini ricostruisce la sua carriera iniziata vicino casa, a Imola e a Russi, prima dell’arrivo al Cosenza nel 1985. Dopo stagioni anonime i lupetti ritrovano entusiasmo e ambizioni. Bergamini, centrocampista dai piedi buoni e dalla grinta pimpante, è uno degli alfieri della felice parabola cosentina. Una parabola che tuttavia prende forma in un contesto per nulla terso. In quei tempi tutti mettono la testa nella sabbia in nome del silenzio omertoso. E i pochi coraggiosi temono di approfondire il fatto che la malavita, tanto dei boss quanto dei pesci piccoli, vive a braccetto con dirigenza e giocatori rossoblu: festini, battute di caccia, allenamenti con gli ispettori di P.S. allo stadio San Vito, visite in ritiro. E per finire droga e, ovviamente, partite truccate. Tipo Cosenza-Avellino del 12 marzo 1989, vinta 2-1 dai calabresi. Quel giorno in tribuna c’è il capubastuni Franco Pino, sicuro del successo: la moglie di un giocatore irpino è suo ostaggio. Il Cosenza e tutto questo marcio ruotante intorno non sono altro che la punta dell’iceberg di un sistema attraverso il quale la ‘Ndrangheta, da organizzazione minore rispetto a Mafia e Camorra, si prepara a spiccare il volo. Denis, ragazzo simpatico ed estroverso, buono di cuore e generoso, capisce di essere la persona sbagliata al posto sbagliato. Lui, abituato alla pace, alla tranquillità e alla semplicità della sua Argenta, ha visto troppe cose e forse ha pensato che sia giunto il momento di squarciare quel velo di omertà. Quel desiderio innocente e puro di ribellarsi, di uscire dal meccanismo in cui si vede invischiato, gli costano cari. Non è mai stato dimostrato realmente, ma trattasi di realtà pressoché certa.

LA DROGA AL CENTRO DI TUTTO – Purtroppo la tesi ufficiale sull’evento fatale, riportata nei verbali della prima inchiesta, e pertanto sui quotidiani di allora, afferma che la sera del 18 novembre 1989 Donato Bergamini si sia fatto investire da un camion Fiat Iveco 180 sulla Statale Jonica 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico. Un suicidio, quindi, emergerebbe dall’unica testimonianza valida messa agli atti all’epoca dei fatti. Ossia, quella della fidanzata del mediano, Isabella Internò, la quale sostiene che Denis, stanco del calcio italiano, quel giorno ha deciso di andare a Taranto e imbarcarsi per il Brasile in cerca di altre fortune pallonare. Sorta una discussione ad automobile ferma in piazzola di sosta, il calciatore sarebbe uscito dalla macchina per poi buttarsi a pesce sotto il Fiat guidato da Raffaele Pisano, indagato per omicidio colposo e successivamente prosciolto. Il caso viene archiviato in tutta fretta. Eppure già allora è difficile credere alla versione contorta, peraltro più volte ritratta e modificata in corso d’opera, della Internò. E ciò per diversi aspetti misteriosi puntualmente sottolineati da Petrini, inerenti la scena del crimine ma anche tutto quanto accaduto prima e dopo la morte di Denis. Com’è possibile che l’autopsia, eseguita sul suo corpo due mesi dopo, non abbia riportato traumi da investimento? Perché la sua catenina e l’orologio sono rimasti intatti? Se Donato è stato trascinato dal camion per sessantaquattro metri avrebbero dovuto come minimo distruggersi. Perché la sua Maserati e le sue scarpe sono state restituite alla famiglia completamente pulite, nonostante quella sera piovesse? Chi ha accompagnato Isabella al bar di Roseto Marina subito dopo? Perché da lì la ragazza, anziché telefonare i Carabinieri, ha avvisato prima l’allenatore del Cosenza Gigi Simoni e poi il giocatore Francesco Marino? E non ci sono solamente i suddetti particolari a rendere ancor più inquietante e fitto lo scenario. L’incontro avuto dal calciatore con una sua amica milanese all’Hilton dopo il pareggio con il Monza del 12 novembre: due camere separate, niente sesso. Una telefonata di pochi secondi, il giorno dopo, che lo raggiunge a casa dei genitori ad Argenta facendolo sudare freddo. Il trasferimento al Parma improvvisamente saltato l’estate precedente, nonostante la cospicua proposta d’ingaggio e soprattutto la parola già data al club ducale. Questo viene a sapere l’autore intervistando all’interno del libro Domizio, il padre di Denis, uno che fin dall’inizio non ha mai creduto al suicidio. Il quadro diventa definitivamente nitido quando Petrini racconta un ulteriore dettaglio ad avallare il suo pensiero: l’acquisto della Maserati per mano di un pregiudicato locale, tale Francesco Sprovieri, l’uomo che nel 1985 gli ha presentato Isabella. Perché? Forse perché in quell’automobile Donato trasporta a sua insaputa droga e il piccolo malavitoso può controllare gli spostamenti del suo traffico? Evidentemente sì, in quanto il centrocampista, a differenza dei suoi compagni di squadra, preferisce usare la macchina e non il pullman sociale per le trasferte. Durante le quali egli stesso riceve scatole di cioccolatini da regalare ai compagni ma contenenti, in realtà, cocaina. A rivelarlo a Petrini è una sedicente studentessa che mantiene l’anonimato sotto il falso nome di Damatiana De Santis. Tutto è chiaro: Bergamini avrebbe scoperto di essere pedina di un gioco senza uscita, e si sarebbe pure accorto di quanto sia legato a esso il gran bazar delle partite truccate. Meglio farlo tacere ed eliminarlo, dunque. Ma non è tutto. Domizio parla anche dell’incontro, il giorno del funerale, con Michele Padovano. La futura ala destra di Napoli e Juventus, nonché futuro indagato per traffico di stupefacenti (guarda caso …), avrebbe parlato al povero papà sostenendo di conoscere un ‘pezzo da novanta’ che avrebbe messo le cose a posto per suo figlio. Chi è costui? E cosa avrebbe dovuto sistemare? Padovano, anch’egli intervistato da Petrini, non lo rivela. In compenso ruba il nastro della registrazione allorquando l’ex attaccante gli chiede ulteriori lumi sulla questione. Parlando inoltre col massaggiatore rossoblu Giuseppe Maltese, Petrini scopre che Denis e Michele non erano amici così per la pelle come si pensava in quel tempo. Infine, a contorno della storia, un altro caso tragico: quello di Domenico Corrente e Alfredo Rende, i magazzinieri-factotum del Cosenza. Quelli che, dopo aver consegnato alla famiglia Bergamini le scarpe del giocatore per conto del direttore sportivo Ranzani, promettono ai genitori e alla sorella di raccontare la verità. Non ne avranno modo. Di ritorno da Trieste, dove il 3 giugno 1990 i calabresi hanno conquistato la salvezza, i due, sempre sulla maledetta Jonica, vengono investiti da due camion morendo sul colpo. Anche qui non è mai stata fatta piena luce, chissà perché. Ma i motivi sembrano piuttosto facili da individuare …

L’INDIFFERENZA E IL MERITO – Non riceve una bellissima accoglienza Il calciatore suicidato al momento dell’uscita. Nell’aprile del 2002 la Gazzetta dello Sport, a firma del collega Manlio Gasparotto, biasima l’autore per aver rivolto “inutili accuse al mondo del calcio, a fianco del quale (non dentro) maturò la triste fine del giocatore del Cosenza Bergamini” e chiosa “L’attacco al calcio pare una forzatura di marketing”. Nondimeno col passare degli anni il maggior interesse dei mass media televisivi ha conferito al libro risalto e importanza, rimarcando in maniera definitiva il carattere di denuncia di Petrini, orientato a gettare in pasto al pubblico volgo il dark side del calcio nostrano. Per di più l’opera ha anche avuto il merito non indifferente di spingere le autorità competenti a riaprire il caso sulla morte di Bergamini. L’inchiesta-bis è stata archiviata nel 2014: il reato è stato ritenuto infondato per mancanza di prove. Ma nulla è perduto. Circa un mese fa il nuovo procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla ha affermato di voler istituire una terza inchiesta, intenzionato a rendere giustizia alla famiglia di Denis. Così come ai tifosi del Cosenza, soprattutto di quella Curva Sud che porta il suo nome. Loro non hanno mai smesso di esigere la verità. Una verità ancora assente. Non del tutto, però. Grazie anche all’impegno e alla sete di sapere di Petrini.

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