VENDETTA SERVITA. CON QUEL GOAL IN PIU’
Tra le tante massime con cui Rafa Benitez ci sta deliziando fin dall’inizio della sua avventura a Napoli, ce n’è una che stasera, mai come in ogni altra circostanza, vale doppio: “Possiamo anche giocare male, ma l’importante è segnare un goal in più dell’avversario”. Ecco, un goal in più. Anche solo uno contro i zero dell’avversario. Anche un solo dopo una partita giocata in maniera menomata, dal punto vista tecnico-tattico oltreché umano. Perché contro la Roma solida, ben organizzata ancorché fortunella di Rudi Garcia, le cose non si erano messe bene per gli azzurri. E se fosse finita con un pari ad occhiali nessuno forse avrebbe avuto da ridire, specie alla luce della sfortunata assenza dell’ultim’ora di Jorginho. Una mancanza, quella dell’ex veronese (unita al forfait di Behrami, non meno sventurato), che ha indebolito vieppiù un centrocampo già inferiore di suo, con un mediano di rottura che non rompe e corre peggio di un pensionato (Inler) e un semiregista incappato nel suo match storto (Dzemaili). L’esame, tanto amaro quanto logico, sarebbe stato completato dalle mancate chiusure difensive di Maggio, dalla stanchezza di Callejon (ecco …) e dallo stato ectoplasmatico di Hamsik. Un po’ poco, magari, dinanzi al dinamismo di Gervinho, all’onnipresenza di Pjanic, alla giornata miracolosa (grazie a Maggio) di Bastos, ai muscoli di Nainggolan. E persino agli intercetti puntuali, sebbene affannosi, della retroguardia capitolina, con Castan e Benatia in testa. Alla fine qualcuno, tra i napoletani, avrebbe obiettato: “Diavolo! Non solo all’andata ci hanno derubato il risultato grazie a due nostri errori, ma ora al ritorno giocano un pochettino meglio di noi e si portano a casa il punto!”. Un punto buono, oro colato per loro. Un punto stretto, zucchero nel fiele per noi. E secondo posto da scordarsi, col terzo nettamente a portata di mano visto il vantaggio aumentare ancora di un briciolo sulla Fiorentina.
Eppure, chissà perché, stasera era scritto che al Napoli andava ridato ciò che a ottobre era stato tolto all’Olimpico. Era destino, decisione solenne del fato, che i partenopei, stanchi e spesso svogliati, ma non per questo generosi e visibili in attacco, dovessero fare propria la posta. E se a Roma, in quell’ingiusto 0-2, il Ciuccio pagò gli errori della giacchetta nera e di chi oggi va a far danni in altre squadre, stavolta invece è stata la Lupa a essere punita per sue colpe. Per esempio, quella di aver sparato a salve nei momenti in cui avrebbe potuto andare a bersaglio. Troppi fraseggi, passaggi e passaggetti nelle fasi cruciali, dove il tiro bastava e avanzava. In tal senso il resto l’ha poi fatto un super-Reina (Don Aurelio, non lo venda!). Altra grave colpevolezza, da parte dei capitolini, quella di concedere campo ai chicos di Benitez nell’occasione più nitida, quella in cui Ghoulam ha trovato il cross buono e Calleti ha deciso di non essere Paganini e di concedere il bis della semifinale di Tim Cup: testa, carambola, goal e De Sanctis che impreca. Fortuna? No, probabilmente. Vendetta consumata? Sì. Visto quel che successe in autunno, vincere così ci sta di netto. Tuttavia parlare di vendetta può risultare superfluo. Se questo Napoli è riuscito a fare suoi i tre punti è stato certamente per concretezza. Concretezza di un singolo, sfasato ma bravo a sfruttare la miglior chance e andare a segno in maniera magistrale. Concretezza della squadra intera, presa globalmente. Una squadra saggia nel rintuzzare le azioni offensive avversarie seppur a fatica. Una squadra che commette errori elementari, che si apre in difesa e chiude col fiatone, ma che non rinuncia mai al gioco d’attacco, al voler pungere, al fare male e trovarsi all’ora X pronta al colpo letale. Una squadra che, in questo, rispecchia l’”idea” del suo tecnico. Integralista per quanto si vuole, convinto appieno delle sue teorie e intelligente nel saper indovinare il vestito da indossare per l’occasione. Ci sono giorni per il tiki-taka e altri per essere più ‘italiani’. Oggi non poteva esserci modo di giocare alla spagnola. Era sufficiente giocare corto, attendere e lanciarsi all’assalto, purché si tornasse a casa con un goal in più. Uno solo. Per mantenere ancora vive speranze residue di Champions diretta.