SOSA, CAPITANO MIO CAPITANO

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Capita alle volte che la gioia insperata, quello dell’ultimo minuto sia confinata al disinteresse. Capita che nel momento di maggior godimento, sorga l’accidente che ti spezza il fiato. E’ un po’ così almeno per chi scrive. Non so voi, ma quello che ieri ha detto Marino destabilizza e sorprende. Fosse stato per altri ce ne si poteva fare una ragione,ma l’annunciato addio del Pampa per ancora imprecisati problemi familiari non può lasciare indifferente un napoletano. Sotto il Vesuvio  Roberto Carlos Sosa non è uno qualunque. In un calcio ormai figlio del dio danaro, dove le uniche bandiere rimaste segnano i limiti dei campi,quel corazziere dall’insolita capigliatura rappresentava la speranza di non perdere quel buono che se ne và. Eh si, perché uno che a quasi trent’anni preferisce l’inferno della C ad una sano prepensionamento in serie A non può indossare l’etichetta della convenzione. E’ stato il primo giocatore tesserato della nascente creatura “aureliana”; Napoli ha visto in lui l’elemento della rinascita e Roberto ha risposto superando ogni più rosea previsione. Come dimenticare chi ti porta per mano, chi ti accompagna in un lungo viaggio per ritrovare se stessi sino a riavere convinzione e mezzi.  Rimarranno indelebili nella memoria le sue testate devastanti e vincenti come quelle contro Padova e Cesena.

Immanenti nel ricordo, trovano posto le inaspettate prodezze come quelle a dispetto di Perugia e Atalanta. Parliamoci chiaro, non verrà ricordato per la somiglianza con VanBasten o DiStefano, ma di certo per valori di egual spessore. Più che un mero contratto lavorativo, il suo venire a Napoli ha rappresentato una scelta di vita. Un immersione nella cultura di un popolo che come pochi sa sedurre. Sosa a Napoli è stato rapito,ma nello stesso tempo ha saputo farsi amare. Se ne trovi uno che non provi affetto per “El Pampa”. Ma non una spicciola benevolenza,parlo di robe serie come un senso di fratellanza e ammirazione per chi riesce a far sperare. Credevo che simboli ed esempi come Franco Baresi o Angelo Di Livio non esistessero più, ma dopo l’argentino, beh, non si può far altro che ricredersi. Con la speranza di felici ripensamenti, e’ d’uopo salutare con il rispetto che si deve ai  padri un pezzo di storia azzurra che si appresta ad abbandonare il campo di gioco. Onore a chi ha (ri)scritto la nostra storia, onore al Pampa.

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