SELVAGGI: “INSIGNE E HIGUAIN, CHE GIOCATORI! AUGURO AL NAPOLI GRANDI COSE. AI GIOVANI NON VIENE DETTATA LA TECNICA”
Pur lontano da anni dai campi da gioco, è un uomo che continua a masticare calcio da una vita (“Da 50 anni” ci tiene a precisare). Del resto l’ha fatto in tutte le sue salse: giocatore, allenatore, dirigente, insegnante a livello federale. Il calcio scorre come sangue nelle vene di Franco Selvaggi, attaccante dai numeri buoni (80 reti in 355 partite), protagonista nel Cagliari post-Riva dei primi anni ’80, dolci ricordi a Taranto nel decennio precedente, stagioni niente male a Udine e nella Torino granata, l’onore di piccole esperienze con Roma e Inter. E soprattutto una brevissima comparsa in Nazionale Maggiore, con la quale, seppur da riserva, è stato tra i 22 che a Madrid alzarono al cielo la Coppa del Mondo. Ed è proprio da quel Mondiale spagnolo che inizia la nostra conversazione con lui, il quale peraltro non manca di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e dipingere un ritratto non del tutto lusinghiero del football nostrano d’oggi.
Salve Selvaggi. Lei fece parte di quella spedizione azzurra Campione Mondiale nell’82, un’esperienza che certamente rimane la più bella della sua carriera. Cosa ricorda di quei caldi mesi ‘spagnoli’?
“Beh, furono caldi non solo dal punto di vista climatico, ma anche per le critiche che ricevemmo alla stampa all’inizio di quel Mondiale. Poi però sappiamo com’è andata a finire: riuscimmo a vincere. E il merito del successo non fu soltanto dovuto alla qualità dei nostri giocatori, ma anche alla forza morale del nostro collettivo. E soprattutto al fatto che, prim’ancora che calciatori, eravamo uomini veri, puliti e onesti, capaci di cementarci e fare gruppo. In ciò un grosso merito lo ebbe il grande Bearzot, onesto e pulito anche lui, nel riuscire a unirci e renderci ancora più forti nonostante le difficoltà di partenza”.
Dal Mondiale di 32 anni fa a quello di oggi. Sicuramente avrà assistito allo show di Immobile e Insigne contro la Fluminense. Cosa pensa del giovane talento partenopeo su cui il Napoli punta molto?
“Io mi ritengo personalmente un ammiratore di Insigne. Il napoletano è un attaccante bravissimo, eccezionale per tecnica e per come gioca il pallone: i giocatori così, che danno il tu alla palla, mi piacciono moltissimo! A mio parere ha grosse chances di dire la sua in questi Mondiali, considerando l’ampia rosa a disposizione di Prandelli, anche se credo che inizialmente il CT in attacco punterà sulla coppia Cassano-Balotelli. Però, ripeto: Insigne ha molte possibilità di ritagliarsi un suo ruolo”.
Tra i protagonisti del Mondiale potrebbe esserci anche, nella Nazionale argentina, Gonzalo Higuain, tra i migliori del Napoli quest’anno. Da ex attaccante quale lei è stato, come giudica il Pipita?
“Beh, per lui vale lo stesso discorso di Insigne: gli attaccanti come lui mi piacciono tantissimo, l’argentino è uno che segna e fa segnare, sforna assist, lavora per la squadra, è dotato di un’ampia tecnica. E’ un attaccante moderno, proprio sul modello che più apprezzo”.
La sua partecipazione al Mundial ’82 coincise col periodo forse migliore della sua carriera di calciatore. In quel tempo giocava nel Cagliari, ma anche in Torino e Udinese ed ebbe persino l’onore di vestire la maglia dell’Inter. Che ricordi conserva delle sfide disputate in quegli anni con il Napoli?
“In quell’epoca anni il Napoli stava gettando le basi della squadra che poi con Diego Armando Maradona avrebbe vinto di tutto. Ricordo molto bene quei match, soprattutto quando il Pibe era già in azzurro ai tempi in cui militavo nell’Udinese e in seguito nell’Inter. Di quegli anni, specie di quelli trascorsi a Cagliari, mi ricordo soprattutto epiche sfide personali con Bruscolotti: un difensore arcigno, un marcatore roccioso e duro da affrontare! Era difficile superarlo, una volta però ebbi la meglio su di lui e riuscii a segnare (Cagliari-Napoli 1-1, 20 settembre 1981, nda), tant’è vero che dopo gli dissi: ‘Beh, per una volta ti ho battuto …’. A Udine mi ricordo soprattutto, nella stagione ’84-’85, un partita contro il Napoli (2-2 al ‘Friuli’, nda) in cui Maradona e il nostro Zico si diedero battaglia e regalarono spettacolo. Quella partenopea era una squadra fortissima; non c’era solo Diego ovviamente, ma è chiaro che, senza i campioni come lui, difficilmente riesci a vincere qualcosa”.
Lei però non fu presente in un altro famoso Napoli-Udinese, quello del 6 gennaio 1985 terminato 4-3 per gli azzurri al San Paolo. Come mai?
“Purtroppo ero infortunato: a Napoli in quell’occasione non c’ero…”.
A inizio carriera lei ha giocato a Terni nel periodo in cui il club rossoverde era allenato dal compianto Corrado Viciani. Era davvero così rivoluzionario e moderno per il calcio d’allora, come si usava denifirlo in quegli anni?
“Viciani era un grandissimo allenatore, solo che non si parla mai di lui per il semplice motivo che non guidò mai una grande squadra e non vinse molto. Ma all’epoca fu apportatore di una vera rivoluzione nel calcio, sia per quanto concerne il tipo di gioco sia per quel che riguarda i metodi di allenamento: la maggior parte delle squadre svolgeva una preparazione blanda dove contavano più che altro i giri di campo, lui invece era molto differente in tal senso. Se mi venisse chiesto di parlare del calcio moderno, io a quel punto direi: il calcio moderno è nato con Viciani. Eppure va detto che, quando la Ternana salì in A nel ’72, all’inizio di quella stagione ci furono mugugni; tuttavia quella squadra, che al suo interno non aveva grossi nomi né fuoriclasse, arrivò prima in B dinanzi alla Lazio di Chinaglia. Il problema, come dicevo prima, è che oggi nessuno si ricorda più di questo bravo tecnico. Se alleni una big come il Real Madrid e ti chiami Mourinho, allora tutti sanno chi sei; in caso contrario, invece, nessuno si ricorda molto di te…”.
Le ho posto questa domanda poiché, come Viciani ai suoi tempi, oggi Rafa Benitez viene ritenuto un tecnico altrettanto moderno e rivoluzionario. Cosa pensa dello spagnolo e, soprattutto, come valuta la sua prima stagione alla guida del Napoli?
“Benitez è un allenatore che stimo moltissimo, anche se per lavorare bene gli occorrono giocatori adatti al suo gioco; in tal senso mi riallaccio soprattutto alla sua esperienza con l’Inter. Per il resto, giudico altamente positiva la stagione attuale del Napoli, al quale adesso manca soltanto la conquista dello Scudetto. Uno Scudetto che i tifosi partenopei vogliono vincere, lo desiderano fortemente. Napoli è una città che ama il calcio e che mi è sempre piaciuta; ogni volta che, da tecnico federale, mi è capitato di dover svolgere lezioni a Napoli, ci sono andato con molto piacere: chiedere a mia moglie…”.
E a proposito di Scudetto, cosa pensa che occorra al Napoli per vincerlo e, soprattutto, colmare il gap che ancora lo tiene a debita distanza dalla Juventus?
“Ho giocato come attaccante, eppure da questo punto di vista voglio andare controcorrente: a mio parere, al Napoli servono essenzialmente due difensori centrali. Intanto perché se si vuol vincere è essenziale comunque sapersi coprire dietro, ma anche per il fatto che non tutti i difensori azzurri mi piacciono tantissimo. Ovviamente non ne faccio i nomi per non ledere la loro dignità, tuttavia ribadisco che anche nel reparto arretrato il Napoli ha bisogno dei cosiddetti top player”.
Ieri 8 giugno s’è conclusa l’importantissima “Coppa Gaetano Scirea” della quale lei è presidente del comitato organizzatore. Ritiene che questa manifestazione possa ancora essere un trampolino di lancio per i giovani calciatori italiani?
“Il Trofeo Scirea ha consentito di scoprire tantissimi campioni, ieri come oggi. Purtroppo però, a differenza di quanto accadeva in passato, il nostro calcio non punta più sui vivai, non ci sono più politiche atte allo scopo. A mio parere il vero guaio sta nel fatto che attualmente i nostri giovani ricevono molti insegnamenti di tattica e pochi di tecnica, senza possedere le basi fondamentali, l’ABC di questo sport. E tutto questo perché i tecnici federali non vengono scelti in base ai meriti, non si guarda ai loro curriculum da ex-giocatori. Quando in campo c’eravamo noi si cercava di prendere spunto, di imitare appunto la tecnica dei fuoriclasse con cui ci trovavamo di fronte: prenda me, per esempio, che ho giocato all’epoca di Maradona e che a Udine avevo Zico come compagno di squadra. Anche oggi i giovani hanno modelli a cui ispirarsi, solo che le società non li supportano. Chi ha vissuto il calcio non viene chiamato, chi non lo conosce invece sì: è inconcepibile, alla stessa maniera di un chirurgo che svolge il suo mestiere pur non sapendo operare. Per giunta chi sarebbe più meritevole viene cacciato via. E’ successo a me, ma potrei citare l’esempio di Roberto Baggio, costretto a rinunciare al ruolo di Presidente del Settore Tecnico di Coverciano”
Oppure di Demetrio Albertini, vicepresidente dimissionario della FIGC.
“Esatto! E potremmo fare altri esempi. Disgraziatamente, nel calcio come nella politica e in altri campi, in Italia non c’è spazio per la meritocrazia. Per quanto mi riguarda faccio una proposta: mettiamo per legge che, in ogni campo, un incarico duri al massimo due mandati. Due volte la stessa carica, poi si cambia e si rinnova al vertice. Anche nel calcio dovrebbe essere così, sarebbe necessario dare una rinfrescata, e invece niente. Tornando al discorso di prima, ribadisco che i giovani non hanno spazio e non vengono valorizzati nel calcio proprio perché chi è stato in questo sport fino in fondo non viene tenuto in considerazione. In altri paesi ciò non accade: chi ha giocato a calcio ricopre incarichi importanti, ho avuto modo di scoprirlo parlando spesso col mio amico Rummenigge (suo compagno all’Inter, nda). In Italia invece ciò non accade, e per quanto concerne il settore giovanile siamo davvero agli ultimi posti in Europa. In compenso si concedono onori a chi non meriterebbe: secondo lei è possibile che un uomo come Renzo Ulivieri, squalificato per 3 anni (per il Calcioscommesse-bis dell’86, nda) sia nominato Direttore della scuola allenatori di Coverciano? Sinceramente no! Questo mio discorso forse rischia di risuonare eccessivamente buonista, sebbene io non voglia ricreare polemiche. Mi sia consentito buttare qualche sassolino nello stagno e risvegliare le coscienze, pur senza portare avanti battaglie”.
L’ultima domanda che le poniamo ha un sapore d’amarcord: da materano doc come ha vissuto il ritorno in Serie C del suo Matera a spese del Taranto, altra sua ex squadra?
“Io sono legatissimo alla mia città: ho giocato a Matera, ne sono stato presidente e allenatore. La promozione dei biancazzurri in Lega Pro non può che farmi piacere e rendermi felice. Al tempo stesso, però, mi è dispiaciuto per il Taranto: in Puglia ho lasciato il cuore, ancora oggi i tifosi tarantini mi ricordano con molto affetto nel ricordo di quella squadra che negli anni ’70 sfiorò la salita in A. Spero ovviamente che i rossoblù possano rifarsi. Così come, da meridionale e amante di Napoli, dico ‘Forza Napoli’ sperando che i partenopei possano andare sempre bene e raggiungere grandi traguardi”. Speriamo anche noi …
Vincenzo Godino