Romano: “Io Napoletano dalla B per vincere il tricolore. Mercato? Al Napoli serve poco”

Francesco Romano, campione d’Italia con il Napoli, ora agente Fifa, ha parlato al sito GianlucaDiMarzio.It.

Queste le sue parole:

“Venivo dalla B, ma ero il giocatore perfetto per quel gruppo”

 “Giocavo in serie B e all’improvviso mi ritrovai in una squadra che puntava al titolo”, racconta l’ex numero 11 di quel Napoli al microfono di GianlucadiMarzio.com. “Successe tutto in fretta, a metà ottobre, nella breve e unica finestra di mercato consentita all’epoca. Il Napoli era rimasto senza regista per la partenza di Pecci. Mancava un riferimento centrale. Uno che giocasse dieci metri dietro a Maradona, in mezzo fra Bagni e De Napoli”.

“Avevo fatto buone stagioni nel Milan e un Mundialito eccellente, ma scelsi di scendere in B con la Triestina. Era il mio carattere: per me non contava la categoria, ma la mia utilità alla squadra”.

“Debuttai contro la Roma in trasferta. Subito titolare. Ero arrivato da 5 giorni. Ricordo che Bianchi, qualche ora prima della gara, mi prese da parte. Mi chiese se ero pronto e mi disse solo di fare ciò che sapevo”.

“Non ero il più bravo, ma il più funzionale a quel gruppo. Due settimane dopo vincemmo a Torino contro la Juventus. Avevamo trovato i giusti equilibri: un blocco compatto portava la palla avanti e poi negli ultimi 30 metri ci pensavano i solisti”.

Giordano, Carnevale ma soprattutto Maradona. Il primo sponsor di Romano. “Con Diego fu un’intesa immediata. Puntò su di me dal primo allenamento. Bastava guardarlo per caricarsi. L’abbraccio che ti dava prima di entrare o il suo modo di scaldarsi, era unico. Ti faceva credere che niente fosse impossibile”. Diego chiamava Francesco “Tota”, come appellava sua madre e un suo amico d’infanzia. Il segno di una fiducia incondizionata. “Non si lamentava mai con nessuno, né per un fallo, né per un cattivo passaggio. Era il primo a inseguire gli avversari in partita e l’ultimo a uscire dal campo in allenamento. Altroché lavativo, faceva un lavoro diverso, mica aveva bisogno di fare le ripetute…”.
“Ricordo che Bruscolotti venne a svegliarci alle 6 e mezzo di mattina nel ritiro di Soccavo. Era al Napoli da 17 anni e non si capacitava come qualcuno riuscisse a dormire. In effetti era impossibile farlo. Sulla strada verso il San Paolo, la gente ci lanciava i confetti, come fosse un matrimonio”. Il pareggio contro la Fiorentina sancì il trionfo matematico. “Dal 20’ del secondo tempo ci abbracciavamo in campo. Al fischio finale c’era più gente in campo che sugli spalti. Io pensavo a mio padre. Quando ero bambino, ascoltavo sulla sua Topolino le canzoni che parlavano di Altafini e Canè. Avergli regalato quella gioia fu la mia vera felicità”. “Due collettivi veri, simili nella consapevolezza e nell’assetto del centrocampo. Noi facevamo la zona mista, Sarri la zona totale. Noi eravamo 15/16 giocatori, loro sono di più. Questa squadra non deve pescare niente di decisivo sul mercato, al massimo qualche alternativa per cautelarsi”.

Emanuele Ranzo

Appassionato di calcio, iscritto alla facoltà di giurisprudenza, ex arbitro, ama la lettura, la politica ed il cinema. Alla sua prima esperienza giornalistica

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