ODIA NAPOLI

ODIA NAPOLI src=

C’è un punto oltre il quale la logica si è già stancata, lo sport ha deposto le armi e la pazienza a un certo punto ha mandato tutti a farsi benedire. Ecco, questo limite a Napoli si è già passato da un pezzo. Premetto che non sono un complottista da social né uno che grida al razzismo ad ogni levarsi di voce a Nord di Caserta, chi mi conosce lo sa bene. Eppure a volte ci vuole, perché i casi si accavallano fra loro e rendono quel fardello che ci portiamo dietro quasi insostenibile, e tutto senza un perché. Genova, Bologna e Verona, Milano, Torino e Roma, queste ultime moltiplicate per due. Why alwahys us, per parafrasare Balotelli: com’è possibile che ce l’hanno sempre col Napoli?

Non che i tifosi napoletani siano stinchi di santo eh, anzi tutt’altro. Eppure nonostante ciò sembrano essere gli unici ad aver conservato una parvenza di umanità. Passi (ma anche no) per la Roma, massacrata la scorsa settimana per il solo fatto di essere Roma. Passi (ma anche no) per rivalità storiche come Verona e Sampdoria, giusto per dirne un paio. Ma le altre che motivo hanno per essere così avvelenate? Attenzione, stiamo ragionando sul filo di una logica distorta, perché niente di tutto ciò dovrebbe passare: la rivalità è una cosa, ma l’odio è ben altro. Anche i modi sono tutt’altro che sportivi. Quanto visto a Torino lunedì sera rasenta la più paradossale delle commedie dell’assurdo. Inni al Vesuvio, paragoni con la Juventus (!), sfottò vari ed eventuali ma mai neanche lontanamente ironici. Odi all’odio verso una tifoseria che invece in quel momento stava esponendo uno striscione per tributare rispetto ai morti di Superga, perché si può essere anche antipatici ma è sempre bene sapere su cosa si può scherzare e su cosa no. Ecco, torinesi, il paragone avreste dovuto basarlo su questo, perché come la Juve ci sarete voi, visto che come loro avete mischiato morte e distruzione con il calcio, due cose che – per quanto ci possa essere “odio” – non andrebbero mai associate l’una con l’altra.

Voglio chiudere con un aneddoto che mi ha fatto pensare un po’. Ieri ho avuto un confronto con un mio aspirante collaboratore, un ragazzo giovane e ancora tanto sognatore. Voleva smettere di scrivere dopo aver constatato che il suo messaggio non riesce ad arrivare, che gli ideali di sport come veicolo di allegria e sana competizione non sono più rispettati da nessuno. Non mi sono sentito di dargli torto, anzi. In gran parte le cose stanno esattamente così, ma ho provato a spiegargli che se vuole parlare di certe cose il suo target non deve essere il tifosaccio medio da Heysel, Superga e Vesuvio, sarebbe presuntuoso sperare di cambiare chi non cambierà mai. Però bisogna provarci fino alla fine. L’obiettivo è cercare di spingere ad una riflessione più profonda chi si lascia trascinare dall’onda di questa gente, che a botte di cori ed insulti hanno cambiato il modo di percepire il calcio da parte delle persone normali. Non mollare, collega, perché altrimenti sì che avranno vinto loro.

Translate »