Napoli, il camaleontismo al potere
A parte il passaggio in semifinale di Tim Cup, il successo all’ultimo respiro contro l’Inter testimonia il carattere eclettico e duttile di una squadra azzurra mai stanca di credere nei suoi obiettivi
Certe volte è destino che una partita la si può solo vincere. Si falliscono occasioni grandi come una casa, si rischia di cadere per il benché minimo errore, magari anche immeritatamente, eppure da qualche parte è scritto che il bottino pieno spetti a te. E’ ciò ch’è successo al Napoli stasera contro l’Inter. Nulla di clamoroso sul fatto che i nerazzurri avrebbero giocato alla morte, come del resto aveva ampiamente previsto Benitez alla vigilia della sfida. Non c’era da meravigliarsi circa la voglia dei nerazzurri di trovare nella Tim Cup un motivo di rivalsa, di riscatto in una stagione anonima e mesta. Eppure gli azzurri non potevano che vincere. L’hanno fatto sul filo di lana, in maniera rocambolesca, con un assist su fallo laterale e con un meraviglioso pezzo di bravura di Higuain, sempre più lìder màximo, ben consapevole di non poter giammai cadere in letargo come avveniva in un recente passato. Tuttavia il fato non basta da solo a spiegare i motivi dell’importante successo partenopeo.
Non basta se si pensa a come la Beneamata non sia stata cinica nell’approfittare di quelle circostanze in cui il Ciuccio ha abbassato spesso, troppo spesso, il baricentro concedendo chances gratuite. Un azzardo evitabile, quello dei chicos di Don Rafé, specialmente perché Shaqiri è sembrato in palla quanto il giovane Puscas, Hernanes si è riscoperto anche nelle inedite vesti di mediano di rottura e Brozovic ha sfornato palloni ben giocabili. Tutto questo facilitato anche dal solito handicap del Napoli. Ossia, una mediana mutilata con il solo Gargano a sudare negli uno contro uno fino alla fine e un Lopez che ha fatto il suo calando però col passare dei minuti. Nessuna critica all’ex Espanyol, sia chiaro. Cert’è che con Hamsik involuto, Callejon a mezzo servizio e Koulibaly non sempre preciso nelle chiusure le cose avrebbero potuto mettersi maluccio. Per fortuna ci hanno pensato il generosissimo Strinic a togliere le castagne dal fuoco in difesa e De Guzman a dare una mano tra mediana e attacco. E il Pipita, ovviamente. Al di là del coupe de theatre con cui ha chiuso la pratica, l’argentino ha contribuito a tenere a galla la squadra tutta nel momento più duro. Ossia, quando l’Inter ha premuto sull’acceleratore guadagnando metri più per inerzia che non seguendo una logicità. Peraltro con una difesa molto ballerina, tanto da dimenticarsi totalmente di Higuain nell’azione del goal. E così di Ghoulam, autore del passaggio da quarterback già visto col Cagliari. E difatti a fine gara Mancini è stato fin troppo giusto nel definire i suoi ‘polli’. Come non dargli torto…
Tutti questi aspetti giustificano pienamente la meritata vittoria del Napoli. Ma ad essi se ne unisce un altro, quello che forse costituisce il vero motore degli azzurri in queste ultime settimane. La concretezza, la voglia di ottenere il massimo e di prevalere sull’avversario, l’intenzione di raggiungere il risultato. Il tutto sempre e comunque, anche a prescindere dal modo con cui si è giocato. E in alcune partite, tipo quella odierna, i partenopei sono ben consapevoli di dover posare il fioretto e di mettere mano alla spada. Di poter persino attendere il contendente e colpirlo quando meno se l’aspetta, senza rinunciare ad attaccare nel tentativo di imporre tecnica e gioco. Non è mettere il tiki taka in soffitta, né abbracciare l’italianismo. Più semplicemente è adeguarsi alle caratteristiche del match, indossare l’abito consono alla circostanza. E’ il camaleontismo, la duttilità, l’esperienza di un allenatore che in Coppa (e non solo) non molla un metro, dritto verso il traguardo. Il camaleontismo di una squadra finalmente conscia delle sue potenzialità.