LAME PER IL LAMA

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Premessa in controtendenza con il senso di questo articolo, ma assolutamente doverosa: i tifosi del Napoli non hanno fischiato Kevin Strootman quando è uscito dal campo in lacrime. Chi vi scrive era in tribuna stampa, a pochi seggiolini dal settore ospiti, e ha percepito con estrema chiarezza i fatti. L’olandese esce dal campo, contemporaneamente entrano i tifosi romanisti, dopo circa 15 minuti dal calcio d’inizio. Gli insulti erano per loro, così come la scarica di petardi partita subito dopo. Non proprio uno spettacolo da applausi, ma di certo non abietto come quello ipotizzato da qualche cronista da divano che guardando la tv ha fatto la facile equazione.

Dopo l’ineludibile preambolo su ciò che non è successo passiamo a parlare di ciò che invece è successo, soprattutto nel day after. L’impietoso bollettino medico (legamenti e menisco, nove mesi di stop, ndr) è stato accolto con incomprensibile gioia dai tanti, troppi giustizialisti sommari che allietano le nostre giornate al pari di complottisti, bimbiminkia e tutte queste simpatiche deviazioni della società partorite dal social-villaggio globale. Per fortuna Kevin Strootman non avrà il piacere di leggere i tanti messaggi di giubilo seguiti al disastro che gli ha rovinato questa stagione e anche la prossima. Il più pacato dei “vendicatori” sosteneva che l’infortunio fosse una sorta di punizione divina per i suoi peccati, come se poi un ipotetico Dio avesse in cima alla sua lista i calciatori dalla saliva lunga molto più di omicidi, stupratori e compagnia cantante. Il capo di imputazione pendente sulla testa del centrocampista olandese era ed è quel famoso sputo verso la curva nella semifinale di Coppa Italia. Un gesto di cui non andare per niente fieri, ci mancherebbe, ma che alla fine dei conti era soltanto l’attimo di follia di un calciatore appena espulso e sconfitto che esce dal campo subissato dagli insulti dei tifosi avversari. C’è una bella differenza tra stigmatizzare un pessimo comportamento di un calciatore e infierire su di lui nel momento peggiore. Una pugnalata, anzi a occhio e croce qualche centinaia di migliaia di pugnalate, ad un ragazzo che ora non ha né la testa né la forza per difendersi. Come sparare ad un uomo morto. Complimenti per il coraggio.

Il bello è che molti di quelli che si beano di questa sciagura (sportiva, ma pur sempre sciagura) sono gli stessi che poi si indignano per la discriminazione territoriale e per l’idiozia dei tifosi più tarati. Eppure l’analogia con il caso-Strootman c’è, è sottile ma c’è. Basterebbe già solo cogliere questa per rifletterci e capire di essere in torto. Provate a pensare se la stessa combinazione di fattori (sputo e infortunio) fosse capitata ad un calciatore azzurro: quanti di voi, tifosi e soprattutto giornalisti, starebbero intasando le bacheche altrui con l’ormai inflazionatissimo “vergogna”? Sentimento che – per inciso – usiamo spesso a sproposito e a quanto pare destiniamo solo agli altri.

Per chiudere non si può che fare i migliori auguri a Kevin Strootman, che con la sua assenza priverà il Mondiale brasiliano di uno dei più grandi centrocampisti d’Europa, probabilmente del mondo. Chi ama il calcio non può non rammaricarsene, ben oltre stupidi campanilismi e aberranti leggi del taglione applicate allo sport. 

 

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