LA RESA DEI CONTI

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Due settimane di pausa. Per qualcuno non potevano capitare in un momento migliore. Tanto è bastato per distogliere l’opinione pubblica dalla guerra fredda che ora sta per detonare in una battaglia decisamente più cruenta. Ha distolto il pubblico ma di certo non le parti in causa, che anzi stanno affilando le armi per ritrovarsi faccia a faccia, come prima più di prima, pronti a dare il via ad un regolamento di conti che lascerà una lunga scia di sangue (metaforico, si intende), oltre a stabilire finalmente vincitori e vinti. 

Almeno, questa è l’impressione che sembra dare la situazione fra Ultras e giustizia sportiva: sul ciglio di un burrone. La squalifica del Meazza, poi rientrata, è stata l’occasione di serrare le fila per le tifoserie organizzate. Tutte unite contro il comune nemico, ovvero la mano invisibile che da tempo tiene sospesa la mannaia sulla testa degli Ultras, gestendo la situazione con il cerchiobottismo e l’ipocrisia che si confà a chi ha tutto l’interesse di mantenere lo status quo. Quella mannaia alla fine è caduta, tagliando quell’instabile capoccia, e il clamoroso dietrofront non basta certo a riattaccarla. L’intero movimento è insorto e ha inscenato gesti anche abbastanza plateali, dagli auto-insulti dei napoletani alle minacce di perpetrare la “tradizione” anti-partenopea da parte di tutte le altre tifoserie, con il placet proprio dei napoletani stessi. È proprio la posizione della curva azzurra a darci l’esatto polso della situazione: il muro contro muro sta per trasformarsi in autentica lotta di classe, portata avanti da un movimento che ha visto messi in discussione i propri principi “filosofici” (passatemi il termine) prima ancora che quelli pratici. L’anima del calcio siamo noi, noi abbiamo le chiavi del tifo e vogliamo insultarci, bastonarci e odiarci quanto ci pare e piace. Non è razzismo, siamo rivali e ce ne diciamo di ogni per il solo gusto di offenderci. Non sono fatti vostri. Questo in sostanza sembra essere il pensiero delle curve, oggi più che mai compatte nel rivendicare la propria libertà di pensiero e di espressione, per quanto scomoda e (spesso) violenta possa essere. Può piacere o meno, possono essere idee condivisibili o non esserlo, non è questa la sede per stabilirlo: chi vi scrive non ha la pretesa di identificare il bene e il male. Di certo in tutta questa caciara i tifosi hanno mostrato più coerenza di tutti, spingendo anche la gente “comune” ad uscire fuori dal guscio. Già, perché ora è il caso di ragionare alla luce del sole e tenere il punto. Se si apprezzano colore e calore delle curve vanno avallati anche determinati atteggiamenti (nei limiti della libertà individuale, è ovvio); se invece si ripudiano azioni violente e cori offensivi bisogna rinunciare anche a tutto il resto. Ormai non si scappa più. 

Tornando ad analizzare la contrapposizione stato/tifoserie, a lungo termine l’oltranzismo aprirà a sviluppi inevitabilmente cruenti. Una maggiore libertà per i gruppi organizzati o una virata netta verso il modello inglese: delle due l’una. La sfida è lanciata, resta da vedere come la accoglieranno le istituzioni. Ma almeno adesso si giocherà a carte scoperte, senza più ipocrisia e gesti di facciata. Questa è l’unica cosa certa di tutta la storia, probabilmente anche l’unica cosa buona

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