Dal carcere al campo: ‘Mean Machine’

Diretto nel 2001 da Barry Skolnick, il remake di ‘Quella sporca ultima meta’ mette contro in una sfida senza pari agenti e detenuti di un penitenziario inglese. Con risultati a tratti migliori rispetto all’originale

Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, ha visto Quella sporca ultima meta (1974). Una storia di riscatto e di rivalsa costruita con sapienza da Robert Aldrich. Un gruppo di detenuti senza arte né parte che vivono il loro giorno di gloria battendo a football americano le guardie del loro carcere. A trascinarli un ex giocatore, Paul Crewe (un bravissimo Burt Reynolds), vendutosi per soldi ma non per questo immemore di essere leader delle yard. Alzi la mano chi, fino ad alcuni anni fa, non ha pensato tra sé e sé: “Chissà come sarebbe bello se la stessa sfida si svolgesse su un altro campo, quello di calcio”. Ebbene, nel 2001 la brillante idea è venuta al regista inglese Barry Skolnick. Si è avvalso di sceneggiatori abili nel riadattare la trama originale. Ha trovato il prezioso interessamento, nelle vesti di produttore, di Guy Ritchie (l’ex marito di Madonna). Ha chiamato a sé volti noti del cinema di Sua Maestà, oltre a qualche ex calciatore, in testa il protagonista Vinnie Jones. Gallese, una fama da ‘uomo duro’ nella Nazionale dei Dragoni, a Leeds e nel Chelsea, con una FA Cup vinta a sorpresa a Wimbledon (contro il Liverpool) nel 1988 prima di dedicarsi al celluloide. Ha rispolverato il David Hemmings di Blow UpProfondo rosso e Squadra antifruffa. E ne è venuto fuori Mean Machine. Una via di mezzo niente male tra dramma carcerario, sport e goliardia tipicamente british.

GUARDIE E LADRI – Danny Meehan è l’ex capitano della Nazionale inglese. Il divismo l’ha spinto oltre i suoi limiti: si è riempito di debiti fino al collo giocando alle corse dei cavalli e per rimediare non ha trovato di meglio che combinare una sconfitta dei leoni d’Albione con la Germania. In preda all’ennesima sbronza, ha malmenato due poliziotti beccandosi tre anni di reclusione e finendo nel carcere di Longmarsh, duro a livello di disciplina ma all’avanguardia in fatto di riabilitazione. A volerlo lì è stato espressamente il direttore, con lo scopo di nominarlo allenatore della squadra delle guardie, iscritta regolarmente ai campionati regionali. Sapendo di inimicarsi definitivamente gli altri detenuti (già arrabbiati per il suo alto tradimento), oltreché di fare un torto al mister Burton, capo delle guardie, Danny dice no. E fa la sua controproposta: una sgambata di allenamento tra le guardie e una selezione di carcerati. Questi ultimi non vedono di buon occhio l’iniziativa, ma cambiano idea quando il campione salva il simpatico nero Massiccio dall’aggressione di una delle guardie, l’ambiguo Ratchett. Con impegno e umiltà, e regalando ai compagni perle di tattica ed esperienza sul tappeto verde, Danny mette su il team, assistito dallo stesso Massiccio e dal vecchio ergastolano Doc. E si guadagna l’ammirazione e l’appoggio di Charlie Sykes, un boss che ha perso tutto scommettendo proprio su quella partita con la Germania. Sykes ha ben donde nel sovvenzionare il Mean Machine. Tramite un allibratore, suo fedelissimo, è in stretti rapporti col direttore, lui pure colpito dal vizietto dei cavalli al punto da perdere cinquemila sterline in una sola corsa. Per recuperare i soldi perduti decide di puntare tutto sulla vittoria della sua squadra. Danny tuttavia ha ben tessuto la sua tela: riesce a convincere Sykes a far entrare in squadra i suoi accoliti in cambio del massimo impegno nel match.

LA RIVINCITA DEI REIETTI – Purtroppo la vigilia della grande sfida è funestata dalla tragica morte di Doc. A ucciderlo una bomba piazzata nella cella di Danny da un altro recluso, il pazzoide Nitro. Questi ha contrabbandato con il viscido Ratchett il trasferimento in un altro penitenziario e una soffiata sullo spaccio di droga in carcere (facente capo a Sykes) in cambio della morte dell’ex stella. La promessa della guardia non viene mantenuta: Nitro viene portato in un manicomio criminale. Vestiti di nero, i detenuti affrontano gli agenti con le buone e con le cattive. Si rivendicano, è vero, dei tanti soprusi e coercizioni subiti nei padiglioni, ma al tempo stesso mettono in mostra sprazzi di ottimo calcio. E riescono a difendersi bene, anche grazie all’eccezionale prestazione del loro portiere, un ex giocatore in preda a crisi mistico-orientale soprannominato Il Monaco. Il tutto accompagnato da una simpatica radiocronaca, a beneficio di chi non è in tribuna, fornita da altri due galeotti. Grazie a una sua bella rete, Danny consente ai suoi di chiudere il primo tempo in vantaggio. Negli spogliatoi, però, viene avvicinato dal direttore, il quale gli rivela che Nitro, in una confessione scritta, l’ha ritenuto responsabile di aver indotto Doc ad andare in cella per farsi uccidere dall’ordigno. Se non pilota la partita a favore delle guardie, lo attendono altri vent’anni di galera per complicità. Danny vaga in campo spaesato, combattuto tra l’orgoglio e la tentazione, tra gli interessi personali e quelli dei suoi compagni. Che rimangono in dieci (espulsione), riescono a portarsi sì sul 2-0, ma nel giro di pochi minuti vengono raggiunti. Rientrato in campo dopo un finto infortunio, Danny si risveglia improvvisamente, e in fulminante contropiede arriva a scartare persino il portiere, consentendo così al più scarso dei suoi giocatori, Billy detto La Piattola, di segnare a porta vuota. Dopo c’è solo spazio per il trionfo e per gli abbracci. Il direttore perde la sua autorità dinanzi al sincero Burton. Oltreché la sua Saab, saltata in aria per ordine di Sykes e del suo amico allibratore. Gli rimane solo il pallone del match. “Lo metta tra i suoi trofei“, gli dice Danny prima di avviarsi fuori dal campo con Massiccio. È la stessa battuta pronunciata da Reynolds-Crewe in Quella sporca ultima meta. Ma dopo 90 minuti in libertà e pantaloncini, piuttosto che un’ora col peso addosso del casco e del bustino, forse possiede tutt’altro effetto.

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