IL CALCIO NON C’ENTRA
Adesso che pian piano lo shock per la morte così improvvisa di Ciro inizia a lasciar spazio ad un dolore più ragionato, che dite, la vogliamo smettere di parlare di sconfitta del calcio? Adesso che possiamo abbandonare la pancia per tornare a pensare con la testa, che ne pensate se provassimo a valutare le cose con un pizzico di distacco? Ad esempio, per dirne una, potremmo smettere di tirare in mezzo i massimi sistemi e partire da un assunto insindacabile: tutti gli stronzi sono uguali, ma alcuni sono più stronzi degli altri. Può essere un buon punto di partenza, no?
Vi spiego perché non vorrò e non potrò avercela mai con il calcio, nonostante questa storia dolorosa. Vi ricordate Breivik? Forse no, allora ve lo ricordo io. Anders Breivik è quello psicolabile norvegese che un bel giorno decise di presentarsi in un campeggio e far fuori una settantina di ragazzini. Così, presi a caso, perché lui era nazista e loro figli di laburisti. Quel giorno non mi pare che abbiamo chiesto la fine della politica o la fine dei campeggi, no, e abbiamo fatto benissimo. Non l’abbiamo fatto perché lì c’entrava soltanto Breivik e le sue turbe psichiche, con la differenza che il confine fra queste ultime e il semplice fatto di partecipare ad un campeggio era molto più netto e marcato. In questo caso il confine è più sottile, perché un ultrà di una squadra ha sparato ad un ultrà di un’altra squadra subito prima di una partita di pallone, che nella fattispecie non riguardava neanche la squadra dell’ultrà che sparò. Ecco, questo è il punto. Ancora non ci è dato sapere se sia stato De Santis, ma chiunque sia il colpevole l’unica certezza è che ci troviamo di fronte ad un pazzo che ha pensato bene di tirar fuori una pistola in uno scontro fra tifosi, una cosa – è bene rimarcarlo – successa per la prima volta nella storia di questo “sport”. La sfortuna di Ciro non è stata quella di essere un tifoso di calcio, no, è stata quella di trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato. Il momento in cui davanti a lui stava passando uno scarto dell’umanità, coglione e fascista, poi forse anche tifoso della Roma. Dopo possiamo dire che non si può morire per essere andati ad una partita, o che sono stati gli stessi ultras ad esasperare i toni creando situazioni potenzialmente così esplosive. Possiamo dare la colpa a chi ha sottovalutato la possibilità di scontri fra tifosi, lasciandoli al loro destino in una città che storicamente non li ama, e probabilmente faremmo anche bene, perché lì di certo le cose non sono state fatte come si deve. Possiamo parlare per mesi di tutto ciò che volete. Ma è davvero così, tutto bianco o tutto nero? Si poteva immaginare qualche disordine, ma come si poteva pensare che un tifoso sparasse ad un altro tifoso se non era mai accaduto prima? Il morto può scapparci sempre, ad una manifestazione, ad un concerto o anche all’Angelus del Papa, e purtroppo stavolta è toccato ad un bravo ragazzo come Ciro. Non è una morte assurda, purtroppo non c’è niente di incredibile. La variabile di questa equazione non è il calcio, ma l’idiozia di chi ha sparato. Ecco, la definizione giusta è proprio questa qui: Ciro non è morto di calcio, come da recente trend di Twitter. No, Ciro è morto di idiozia altrui, e in questo purtroppo non è da solo.
Dopo questa indispensabile e interminabile introduzione arriviamo dritti al vero senso di tutta questa storia. È morto un ragazzo di trent’anni, si chiamava Ciro Esposito e lavorava nell’autolavaggio di famiglia, a Scampia, dove viveva. Aveva una fidanzata splendida, degli ottimi genitori che nel momento del dolore hanno dimostrato una dignità – quella sì – fuori dal comune. Queste persone sono state disturbate già troppo, in un’agonia lunga due mesi che è esplosa in un dolore devastante proprio quando nessuno se lo aspettava più. Chi ci è passato sa di cosa stiamo parlando. Ci siamo immedesimati tutti, siamo stati vicini a tutti loro ma ci abbiamo anche ricamato tanto, troppo, dando alla tragedia di un ragazzo un senso e delle interpretazioni di cui in questo momento alla famiglia Esposito, giustamente, non gliene può fregare di meno. Ora è arrivato il momento di farci da parte e rispettare il loro dolore. In silenzio. Per favore, chiudiamo il sipario.
Di Antonio Papa