CALCIO IN CRISI: IN FUMO 300 MILIONI DI EURO

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Voleva essere una sorta di rimedio che assomigliava ad una provocazione e invece si è rivelata una gaffe a tutto tondo. Le parole del premier Mario Monti sembrano aver scosso l'intero palcoscenico calcistico data la situazione poco piacevole di scommessopoli. Bloccare il calcio per almeno 2 o 3 anni, tanto basta per risolvere un malcostume generale che sembra essere nel DNA del bel paese. Alle parole di Monti ha risposto Giancarlo Abete che, anche un po' stizzito, ha sollevato il problema dei posti di lavori.

 

Parlando esplicitamente, invece, è più facile pensare che, mettendo da parte la solita ipocrisia di convenienza, uno stop al calcio italiano sarebbe devastante per ben altri motivi. In tempi di crisi, il potere decisionale italiano se ne altamente fregato dei posti di lavori andati in fumo e del crescente numero della disoccupazione, preoccupa molto di più la consapevolezza che, ad oggi, il calcio è il classico effetto placebo per tenere buoni i bollenti spiriti. "Non togliermi il pallone e non ti disturbo più" recitava una canzone degli Articolo 31. In un periodo storico dove il baratro è sempre più profondo, fermare la giostra paleativa rischierebbe davvero di portare tutti all'esasperazione sfogando la propria rabbia su altri aspetti (la politica, ad esempio). Oltre questo discorso, e forse il vero nocciolo della questione, fermare il calcio significherebbe annullare un ricavo da 1 miliardo e 600 milioni l'anno per le casse dello Stato. Una somma enorme a cui difficilmente si potrebbe rinunciare. Una sorta di autogoal che fa il palo che l'effettiva incapacità di risolvere la stragrande maggioranza dei problemi. Lasciando da parte l'uscita a vuoto del premier, torniamo su un discorso che infine, come poi scopriremo, potrebbe diventare a catena la vera risoluzione anche di quel problema.

 

C'è crisi, scarseggiano liquidi e diventa impossibile investire per rendere concreta la ripresa. La Serie A continua a far colare dai propri bilanci una grande quantità di moneta dovuta all'affarismo, alla malagestione dirigenziale e alla poca attitudine verso il cambiamento della tifoseria che costringe i club a spese assurde. Qualche esempio? La Juventus, una a caso, per arrivare a vincere lo Scudetto ha dovuto registrare una perdita di bilancio nel 2010-2011 di ben 94,4 milioni di euro solo nella stima di costi e ricavi derivanti dalle transazioni di mercato. Oltre ai bianconeri, anche Milan e Inter non se la passano bene  con 83,1 milioni e 69,8 milioni in passivo. Ma perchè succede questo? La filosofia di molti club è analoga: il buco di bilancio può essere ripianato grazie ai vari introiti di sponsor, tv, merchandising e benefit di competizione, ma per raggiungere un ricavo accettabile bisogna essere competitivi e per diventare tali bisogna scegliere i nomi più gettonati sulla piazza che, ovviamente, costano un occhio della testa. Risultato? Succede che gli obiettivi non vengono raggiunti, i vari ricavi sono molto più bassi di quelli sperati e il buco di bilancio si allarga sempre di più. Questo è quanto accade nella stragrande maggioranza delle società calcistiche ed è qui che il Napoli di Aurelio De Laurentiis rompe gli schemi. Gli azzurri, infatti, nella scorsa stagione hanno totalizzato un utile di 4,2 milioni (ricordiamo, solo per compravendita dei calciatori) e il club baserà il proprio progetto tenendo conto del limite massimo di spesa. Buona parte della tifoseria azzurra invoca i grandi nomi. Tutti vogliono vincere, chiaro, ma la richiesta di vincere con il "Presidè, caccia e sord" è totalmente fuori linea con il calcio attuale rendendo questa ideologia molto più…da fantacalcio! Il club è una vera e propria azienda e il Napoli sembra essere una di quelle oculate e lungimiranti. Tutto arriverà per gradi a seconda delle possibilità. In passato, Napoli non ha vissuto momenti felici: il fallimento e la Serie C brucia ancora per chi vive di pane e pallone, eppure non tutti sono riusciti a ricavarne insegnamento. Tenendo fede alla strategia dei club affrontato poco fa, Salvatore Naldi elevò notevolmente la perdita di bilancio con nomi di grosso calibro in modo da tornare in massima serie e ripianare buona parte delle perdite, ma poi tutti sanno come andò a finire. Vogliamo dare una soluzione? Bene, sarà anche fantasiosa, ma ecco cosa l'intero sistema calcio dovrebbe fare per tornare competitivo e, soprattutto sano. Due sono i modelli da seguire: Spagna e Germania sotto due diversi punti di vista. Dalla Spagna si potrebbe "rubare" il sistema economico finanziario più leggero e la creazione di squadre B (o magari, prelevare piccole realtà di categorie minori) dove far giocare e crescere i più giovani. Investire sul vivaio interno e creare nuovi canali finanziari dove sfruttare l'immagine di calciatori e club, strutture e stadio di proprietà. Non è un caso vedere il Barcellona incurante dei 120 milioni di passivo in bilancio se il fatturato complessivo supera i 300 milioni l'anno. Un monito anche per chi oggi chiede i "top player": volendo avanzare quotazioni di mercato, calciatori blaugrana come Iniesta, Xavi, Messi, Puyol, Sergio Busquets, Piquè e Victor Valdes varrebbero più di 250 milioni, eppure il Barcellona ne ha spesi ben poco per averli in quanto tutti provenienti dalla cantera. Lionel Messi, infatti, fu acquistato all'età di 15 anni dal Rosario Central e portato in Spagna, fu curato per un problema ormonale e gettato a 18 anni nella grande mischia diventando il campione che tutti conosciamo. Spostando questo di scorso sul Napoli sarebbe come se fra 3 anni in squadra ci fossero 4 o 5 talenti come Insigne costati pochissimo e cresciuti in casa per una plusvalenza di mercato abnorme oltre che utili in termini tecnici, tattici e finanziari. Dalla Germania, invece, potremmo "rubare" l'idea di "allevare" giovani talenti creando una sinergia tra scuole e sport. Praticamente, un po' come accade nel football americano e i college, indirizzare il giovane allo sport già in tenera età e seguirlo passo passo fino a portarlo definitivamente in gruppo a 16 anni. Questo porterebbe un forte ricambio generazionale in cambio e un sostanziale abbattimento dei costi; inoltre, e qui ritocchiamo il discorso sul malcostume italiano, i ragazzi verrebbero educati, formati, intellettualizzati su basi sociali molto più solidi tenendoli lontani da quei vizi che condizionano la credibilità di questo sport. Naturalmente, tutto questo comporterebbe fiducia, pazienza, proiezione in ottica futura e tranquillità che in Italia non sembrano proprio esserci o, per meglio dire, non si vuole avere. Qui tutto funziona per sommi capi a seconda del proprio mulino. Successe nel 1994 quando incautamente per qualcuno il vide trasformare i club in società per azioni ed è successo ancora quando Adriano Galliani ricopriva il ruolo di Presidente di Lega e Silvio Berlusconi il ruolo di Presidente del Consiglio spostando la data di chiusura bilancio al 31 Dicembre invece del 30 Giugno creando un notevole caos nel controllo dei bilanci

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