AURELIO E LE STORIE TESE
Togliamoci subito il dente: ha ragione o ha torto? La risposta è che è meglio lasciarlo lì, quel dentino. Perché a noi se le motivazioni di De Laurentiis sono giuste o sbagliate non ce ne può fregare di meno. Molto meglio focalizzarsi sui motivi reconditi di tanto astio, provando a guardare sotto la superficie di azioni che identificano l’Aurelio uomo, forse anche il DeLa personaggio, ma non certo il De Laurentiis presidente.
Partiamo dal presupposto che ieri un rapinatore mi ha chiamato ladro per avergli rubato il parcheggio, e la cosa – guarda un po’ – non ha lontanamente scalfito la mia autostima. Fuor di metafora, studiare le reazioni del pubblico nel post-sparata presidenziale è stato piuttosto istruttivo. Tutti compatti a favore di Aurelio il Grande, che ci ha regalato la Coppa Italia e quindi può dire ciò che gli pare e come gli pare. Specie se il nemico in questione sono i giornalisti cattivoni che gli fanno domande (e cosa dovrebbero fargli, le fotografie?) sul vile denaro, talmente vile che i 30 milioni di Lavezzi saranno devoluti in beneficenza. Già, il Pocho è andato via perché lo amiamo e vogliamo che sia felice. Spremere ogni centesimo dai tifosi per una partita di Champions è fatto per il loro bene, ché altrimenti con quei soldi si comprerebbero la droga. Ma lasciamo stare, abbiamo detto che non avremmo giudicato le azioni del presidente, meglio focalizzarsi invece sul sottotesto. La verità è che De Laurentiis non sarà il più elegante dei gentiluomini ma non è certo un cretino, e ha capito tutto della vita. Sa cosa venderlo, come venderlo e soprattutto come giustificare il quanto. Ha di certo un’ottima cultura e sicuramente conosce fin troppo bene le migliori tecniche di pascolo della massa, a partire da quel “tutti contro il cattivo” che è la base fondante di ogni regime totalitario che si rispetti. È riuscito a compattare un popolo intero dietro ideali posticci propagandati a mestiere, di questo gli va dato merito. Riuscire a far passare un giornalista napoletano per il Male soltanto perché tifa un’altra squadra (cosa che in un mondo perfetto sarebbe indice di maggiore obiettività anziché nota di demerito), è mossa geniale, figlia del clima vittimistico che lui stesso ha cavalcato e che paradossalmente ha avvicinato i napoletani alle loro nemesi storiche molto più di quanto avrebbero mai voluto. Non importa come, ma Napoli non è mai stata così unita, e questa è la filosofia giusta per vincere ancora. Starebbe bene in politica, il nobile Aurelio. Potrebbe candidarsi a sindaco di questa città, vincerebbe a mani basse. Poi chissenefrega del poi.
Purché si vinca. Questo è il motto che soffia sottotraccia nelle parole di De Laurentiis. Il motto che tanti tifosi hanno sposato, motore immobile delle tante volte in cui abbiamo clamorosamente mancato il vaso. Ha un senso, meglio essere vincenti che simpatici, ma personalmente quando vedo Agnelli che piange miseria o Cellino che fa il gesto dell’ombrello io prima di tutto mi vergogno per i tifosi della Juve e del Cagliari, solo dopo mi arrabbio per il fatto in sé. E non mi va che anche Napoli faccia di queste figure barbine in giro per l’Italia. Forse è impossibile vincere ed essere simpatici, ma non è detto che per farlo bisogna diventare necessariamente i più antipatici del mondo.