La settimana santa

Inibito. “Per avere, al termine della gara, negli spogliatoi, proferito reiteratamente espressioni blasfeme; infrazione rilevata dai collaboratori della Procura federale”. Testuali parole. Questo il triste destino di Aurelio De Laurentiis, che sarà interdetto per una settimana da tutto ciò che concerne la Figc e la sua rappresentanza. Inibito. Per una bestemmia. Negli spogliatoi, o meglio nei pressi degli spogliatoi. Lontano da telecamere e da tutto il resto. Da solo, in un corridoio ad imprecare contro il mondo. O almeno pensava di essere solo, se non fosse che c’erano lì i delegati Figc ad origliare e a riportare con zelo l’infrazione al sempre vigile Tosel. Per fortuna queste sanzioni non servono a un bel niente, quindi ci possiamo anche ridere un po’ su, altrimenti ci sarebbe stato da piangere sul serio.

Inibito. Per una bestemmia, con tutti i problemi che ha il calcio. Inibito per una bestemmia. Continuo a ripetermi come un mantra queste parole, con la speranza che prima o poi mi entrino in testa senza violentarmi, ma probabilmente è una speranza vana. Chiariamoci ragazzi, stiamo parlando di una cretinata, perché inibire un presidente di A per una settimana è come mettere un bambino in punizione per un minuto e mezzo. Una punizione simbolica che proprio in quanto tale fa riflettere di più. Potremmo star qui per ore a discutere sull’opportunità di sanzionare un’imprecazione piuttosto che un’altra, ché se io venerassi mio zio o il numero due probabilmente molti calciatori avrebbero l’ergastolo da un pezzo. Ok, ammettiamo pure per assurdo che sia lecito imprecare contro tutto e tutti a patto che non si tratti del dio che venerano Tosel e i “collaboratori della Procura federale”, perché se magari ad essere colpito era Budda o Allah a quest’ora don Aurelio era un uomo libero. Ammettiamo e non concediamo che a furor di opinione pubblica sia anche giusto così, che sia legittimo punire la bestemmia “selettiva”, ma la cosa potrebbe essere considerata diseducativa se avviene a favor di telecamera e del pubblico da casa. Se un uomo non ha più il diritto di sfogarsi neanche fra i meandri del sottostadio, solo con se stesso, allora diventa davvero una tragicommedia, rigorosamente all’italiana. Ve lo immaginate il nostro beneamato giudice che mentre redige il suo bel comunicato alza gli occhi al cielo e ripete “perdonali Signore perché non sanno quello che fanno”? Tu quoque, Gianpaole.

Meglio farsela ‘sta risata, altrimenti ci sarebbe da avvilirsi sul serio. Non può che essere tragicomico ripensare a tutti i mali che attanagliano il nostro calcio, al doping medico e a quello amministrativo, agli utilissimi giudici di linea e agli stadi fatiscenti e pieni di decerebrati. Tutti la fanno franca, perfino Moggi, perfino gli imbecilli che all’Olimpico hanno insultato Ciro Esposito se la sono cavata con uno scappellotto. Uno scappellotto di una settimana, la stessa portata della bestemmia di De Laurentiis. Avete capito? Nel calcio bestemmiare vale quanto profanare i morti e insultare chi quei morti ancora li piange. Nel calcio una bestemmia è più grave di  una simulazione, di un fallo violento, di uno striscione che per fare davvero giustizia contro chi l’ha esposto servirebbe il napalm. E invece no, una settimana di chiusura curva e via, una settimana come quella che spetta a De Laurentiis.  Per una bestemmia. Per una bestemmia. Non so voi ma io mi sto divertendo come un matto per una storia che è la fotografia perfetta dell’Italia. Banane e acqua santa: che bella repubblica.

 ANTONIO PAPA

Translate »