DUESSELDORF, GERMANY - JANUARY 14: Carlo Ancelotti head coach of Bayern looks on prior the Telekom Cup 2017 match between Fortuna Duesseldorf and Bayern Muenchen at Esprit-Arena on January 14, 2017 in Duesseldorf, Germany. (Photo by Maja Hitij/Bongarts/Getty Images)

Mister “non facciamo drammi” ma impariamo a riflettere!

I bilanci si fanno a fine stagione.Però dopo la partita contro l’Arsenal che ha sancito l’addio all’Europa League, si può affermare – con la pacatezza e la serenità che contraddistinguono Mister Ancelotti – che il suo primo anno a Napoli si è concluso già ad aprile.

E non possiamo certo dire che questo primo atto ancelottiano in azzurro ci lasci con un sorriso.L’amarezza è tanta.

Nonostante i colleghi elogino la gestione e rincorrano la poetica del “abbiamo raggiunto risultati migliori rispetto all’anno scorso”.

Noi non ce la sentiamo di prendere in giro i tifosi, perché prima che penne prestate al pallone siamo appassionati come loro.

Il tifoso che ascolta e legge, dovrebbe essere “educato” dal giornalista, per capire cosa succede nell’ambiente della sua squadra del cuore. È inutile rabbonirlo, esaltarlo o deprimerlo a seconda di come soffia il vento: il tifoso non è stupido e il San Paolo visto in questa annata lo dimostra.

Carlo Ancelotti oggi è un “re senza corona” che rilascia dichiarazioni come: “ non si facciano drammi, la squadra sta bene, programmiamo il futuro”.

Sì ma quale futuro? Senza passato non c’è avvenire e per lezioni su come programmare un “futuro migliore” forse si sarebbe dovuto citofonare a Rafa Benitez. L’ultimo ad aver vinto in azzurro e che ha gettato le basi anche per il triennio sarriano.

Se invece arrivi a Napoli – in posa da 007 ma senza assi nella manica – forse dovevi sedere in panchina e non snaturare una macchina che si era dimostrata perfetta, privandola di un’anima e di una voglia come quella di Marek Hamsik. ( Si noti non il rammarico del tifoso ma un’analisi lucida: vendi il capitano senza avere sostituti adeguati almeno dal punto di vista tecnico ).

Veniamo appunto al mercato.Come funziona il mercato di una squadra che “deve vincere” resta uno dei misteri più grandi degli ultimi anni.Prendi qualche big, prendi dei giocatori prospettici, resti nel gruppone che si qualifica per la Champions e produci plusvalenze. Non è un caso che quando il tecnico del momento ha alzato l’asticella delle aspettative la vicenda si è chiusa sempre con una rottura.

Il Napoli va bene quindi come piazza per affermarsi, per rilanciarsi, per accrescere il proprio valore di mercato.

È un trampolino di lancio, non un porto di cui fare la propria casa.

Ci si limiterà in questa sede ad un’istantanea:

Lavezzi, Cavani, Mazzarri, Benitez, Higuain, tutti nomi di calciatori e tecnici che ad un certo punto sono entrati in rotta di collisione con il presidente.

Qui non si tratta di essere a favore di Aurelio De Laurentiis o di odiarlo, ma di fare una constatazione oggettiva: quando produciamo campioni, non gli affianchiamo altri campioni ma li vendiamo e prendiamo giovani di belle speranze.

“Un’Udinese da alta classifica” e basterebbe questa metafora per rasserenarsi, mettersi l’animo in pace.

Evidentemente con questa proprietà questo è il livello del Napoli, c’è poco da girarci intorno.

Con questo modello perciò andavano bene i Mazzarri e i Sarri esplosi in piccole realtà che nulla hanno da chiedere in termini di vittorie e trofei.

Vanno bene quelli bravi che hanno poco potere contrattuale e un’elevata capacità di valorizzare i giocatori per farne future plusvalenze.

O quelli con un grande passato ma che ormai devono fare solo cassa senza più avere troppe velleità.

Abbiamo assistito all’avvento di un allenatore molto blasonato e utilizzato per due ragioni.

Innanzitutto doveva servire da specchietto per le allodole, per chi voleva che Sarri rimanesse o per chi voleva finalmente “vincere” uscendo dal “ provincialismo” di stampo toscano.

Anche se – per onor di cronaca – la Champions in cui ha giocato Benitez, uscendo a 12 punti proprio contro l’Arsenal,  fu frutto dell’ultima annata del livornese Walter Mazzari.

La seconda ragione è stata legata al fatto che, nonostante il nome importante, Carlo Ancelotti aveva ormai, paradossalmente molto meno potere contrattuale di chi l’ha preceduto.

Abbiamo dovuto assistere alla graduale distruzione e disgregazione del lavoro, anche sulla motivazione e sull’autostima di ogni singolo giocatore che avevano saputo costruire Benitez prima e plasmare Sarri poi.

Oggi abbiamo una squadra allo sbando che non crede più nemmeno essa stessa nel suo valore.

Confrontiamo l’atteggiamento dello sconsolato Dries Mertens ieri sera , che chiede al pubblico di comprendere che in campo ci sono degli esseri semplicemente umani, con quelle parole pronunciate un anno fa all’indomani della vittoria con la Juve: “grazie ai nostri tifosi diamo sempre di più”.

Abbiamo oggi un allenatore che ha smontato la fiducia in loro stessi di gran parte dei suoi giocatori, con le sue dichiarazioni melliflue che hanno spesso tentato di attribuire colpe ai calciatori, e non alla mancanza di idee, la responsabilità di questa annata, alla fine deludente andata in scena contro Emery, in uno dei “pochi quarti di finale europei disputati dal Napoli nella sua storia” ( semicit.)

Chi lo ha capito ha già abbandonato la nave che affonda.

Mai come stavolta, ed è deontologia professionale ammetterlo, i giochi sono sembrati chiari dall’inizio e lo diciamo con un senso di grande tristezza e di impotenza, più che con spirito polemico.

Perché se mettessimo insieme i giocatori che sono passati da qui in questi anni e il lavoro svolto dai tecnici, si otterrebbe un Napoli che avrebbe potuto vincere tutto.

Con quello che si è visto,convincere e vincere sembra una chimera irraggiungibile.

La stagione è ormai finita, quindi si attendono alla finestra le prossime mosse con la speranza che il re ritrovi la corona e anche un po’ la testa.

Un mercato adeguato alle sue esigenze, lo potrebbe aiutare ad avere una formazione base su cui fare affidamento. In modo da non assistere a massicci turnover e  al “valzer dei portieri” che ha privato questa squadra di una figura importantissima in fatto di identità e fiducia dentro e fuori dal campo.

Speranze, sogni o illusioni, solo il tempo ce lo dirà.

L’amarezza è tanta ma l’amore per questa maglia – lo sappiamo noi e lo sanno gli altri – non dipenderà mai da chi gioca o siede in panca: non conosce e non conoscerà mai limiti.

 

Gabriella Rossi

Laurea Triennale in Lettere Moderne conseguita presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, laureanda magistrale Filologia Moderna presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Mi diverte molto la fotografia, scrivere, andare ai concerti , viaggiare e ovviamente tifare Napoli.

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