MAZZARRI."SIAMO IN SEI PER LA CONQUISTA DELLO SCUDETTO. NON RIESCO AD AVERE FEELING CON I GIORNALISTI, NON LI SO ALLENARE"

Walter Mazzarri ha parlato al Messaggero. Ecco lo stralcio dell' intervista.

Mazzarri: "Siamo tra le 6 squadre che possono vincere lo scudetto"

Quindi con la Lazio niente turn over?
«Assolutamente no. Il Napoli ha il dovere di impiegare i migliori: sia in campionato, che in Europa. Ora pensiamo alla Lazio, al City penseremo da domenica mattina».

Perché il Napoli soffre un po' in campionato?
«Dipende da che ottica si guarda la classifica. Se il punto di partenza è il terzo posto della passata stagione, allora siamo in ritardo. Se, al contrario, si fa una valutazione generale della situazione, dico che stiamo rispettando i programmi. Qualcuno dimentica che quel piazzamento ha rappresentato qualcosa di straordinario e non è detto che si ripeta. Ci vuole più equilibrio nei giudizi. La gente, nei miei due anni a Napoli mi ha ascoltato, ha capito il processo di crescita e questo lo ritengo un mio successo. Ci sono società che hanno investito molto più della nostra, che pagano un monte ingaggi dieci volte superiore e che hanno obiettivi sicuramente più ambiziosi».

Le mancano i gol di Cavani?
«Non pensavo che potesse ripetersi con trentatré gol, l'ho detto anche al ragazzo. Magari mi smentisce…»

Faccia una griglia del campionato.
«In questo marcato equilibrio, ci sono sei squadre che possono vincere lo scudetto: Milan, Juventus, Inter, Lazio, Roma e Napoli. Le prime tre un gradino sopra».

Come mai nella lista ha inserito anche la Roma?
«Per la qualità della rosa, gli investimenti, gli ingaggi, la storia e perché, come la Juventus, non gioca le Coppe».

Adesso comandano Lazio e Udinese.
«Belle realtà. L'Udinese vende i pezzi migliori quando sa già con chi sostituirli: un club da prendere a esempio. La Lazio è una conferma, resterà a lungo al vertice».

Perché scommettere sulla squadra di Reja?
«E' attrezzata per vincere. Sull'organico, già molto valido dello scorso anno, ha effettuato degli inserimenti mirati e sicuri, acquistando calciatori di assoluto spessore, esperti, pronti per la realtà italiana. Quando ho visto il suo mercato, ho capito che sarebbe stata tra le protagoniste. Complimenti, sta meritando il primato».

Teme più la vena realizzativa di Klose o la forza e la velocità di Cissé?
«Sono due attaccanti che si completano. Il tedesco ha confermato tutto il valore internazionale, il francese rappresenta la sua spalla ideale, anche se segna meno».

Come pensa di fermare la capolista che, in trasferta, macina vittorie e punti?
«Con una prestazione super da parte di tutti. Siamo consapevoli che ci aspetta un incontro insidioso, ma siamo anche convinti di potercelo giocare alla pari».

Con la Lazio ha un conto aperto: la Coppa Italia persa con la Samp.
«Una sconfitta bruciante, soprattutto perché non la meritavano. Giocammo bene e potevamo anche vincere, perciò dispiace ancora di più. Ma non cerco rivincite».

Nonostante i miracoli, lei però viene messo in discussione…
«Questo è il calcio. Bastano due vittorie per diventare un fenomeno e due sconfitte per bruciare tutto, perciò dico che servirebbe maggiore equilibrio. Ho portato il Livorno in A, dopo cinquantacinque anni, ho salvato la Reggina, da meno undici, ho restituito alla Samp una finale di Coppa, dopo quindici e la Champions al Napoli dopo ventuno. Sono per la meritocrazia, quindi credo di avere le qualità per allenare in A. Non devo dimostrare niente».

Ha pagato per quel modo di fare l'istrione in panchina?
«Credo di sì. Io non ho mai dato peso all'immagine e questo stonava con l'ambiente. Alla lunga hanno capito che quel modo di essere rappresentava un valore aggiunto».

Forse sogna un club ancora più prestigioso?
«No. Mi sento realizzato al massimo con il Napoli, sono felice con me stesso per quello che sto facendo».

Invidie per i colleghi arrivati a panchine più importanti?
«Non provo invidia per nessuno».

Chi stima di più?
«Reja, Guidolin,Ranieri, perché da tanti anni sono sulla breccia con serietà, continuità e risultati importanti».

Perché ha scelto una piazza difficile come Napoli?
«Le sfide mi esaltano e volevo confrontarmi con le forti pressioni e le grandi aspettative della città».

Quando ha deciso di fare l'allenatore?
«Avevo ventotto anni e stavo consumando gli ultimi spiccioli da calciatore. Ho avvertito la sensazione che avrei allenato, ma non immaginavo a quali livelli».

Qual è il suo principale difetto?
«Dico sempre quello che penso in faccia e non alleno i giornalisti. Il mio carattere è così».

Come nasce il suo rapporto conflittuale con gli arbitri?
«Dicono che mi lamento sempre, ed è una cavolata. Basta guardare le volte che sono stato squalificato. Le mie dichiarazioni fanno notizia e vengono strumentalizzate. Agli arbitri chiedo solo uniformità nei giudizi».

Dicono che quando si arrabbia si toglie la giacca.
«No. La tolgo perché la temperatura corporea di base è di trentasette gradi. Il resto lo fa l'adrenalina».

E quando le scende la temperatura?
«Non in sala stampa, dove incontro i giornalisti con i quali non ho un particolare feeling. Per smaltire tutto mi occorrono due-tre ore».

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