MAGIC BOX SALUTA

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Dopo Ciro Ferrara anche il tamburino sardo ha appeso le scarpette al chiodo; due big del calcio italiano sono andati in pensione, due elementi di quello che fu il Napoli più forte di sempre sono usciti di scena.Quando un calciatore raggiunge la veneranda età di 39 anni qualche riflessione la deve fare; è arrivato il tempo dei bilanci se non della vita di sicuro della carriera. Il bilancio tracciato da Gianfranco Zola ha messo in atto una decisione già nell’aria ma l’annuncio della stessa, dato dalla sera alla mattina, ha colto di sorpresa un po’ tutti.Nato ad Oliena, paesino del sassarese, dopo l’anonimato della Torres Gianfranco sbarcò in Serie A, in quello che allora era uno dei club più ambiti: il Napoli di Maradona. E fu proprio Diego, divenuto poi suo mentore, a prenderlo sotto la propria ala protettiva. Zola ha un talento sicuramente innato, tuttavia qualcosa gli deve esser rimasto dentro quando al termine degli allenamenti si tratteneva al campetto del Centro Paradiso ad assistere alle punizioni impossibili, ai golazi del Pibe.

Per sua stessa ammissione quegli "straordinari" furono fondamentali per il prosieguo della carriera; anche 23 anni, con qualche anno di attività ancora davanti, non è mai troppo tardi per capire come ci si specializza nell’aggirare una barriera oppure, incombenza più impegnativa, come si diventa veri uomini spogliatoio.

Nel ’93, dopo quattro anni e 32 reti, lasciò un Napoli decisamente meno ambizioso per approdare a Parma, città di provincia con squadra dalla dimensione europea. Con gli emiliani vinse una Supercoppa europea, una Coppa U.E.F.A inframmezzate da una finale persa di Coppa delle Coppe con in più la stabile presenza dei ducali nell’alta classifica del nostro campionato.

Poi nel Novembre ’96, a torneo in corso, la partenza non priva di polemiche verso il Chelsea, club dal sangue blu della Premier League.

Il successo fu immediato, la sua famiglia s’inserì perfettamente nella realtà londinese, lui ancor di più negli schemi dettati dal suo primo tecnico Ruud Gullit. Subito il trionfo nell’importantissima Coppa d’Inghilterra, conquistata grazie ad una sua rete dal Chelsea dopo 27 anni, poi altri trionfi in Europa: Coppa Coppe e Supercoppa Europea nel ’98 e Coppa di Legariconquistata nel 2000. Divenne inevitabilmente il beniamino dei tifosi, cosa poco comune per un non inglese e decisamente insolita per un italiano, rimanendolo pure dopo quel gol segnato in maglia azzurra che permise all’Italia di violare Wembley.

Col passare degli anni il richiamo della propria terra divenne forte e così il tamburino sardo decise per il ritorno in Italia e per la firma, a Cagliari, dell’ultimo contratto importante della sua carriera. A nulla valsero gli appelli dei tifosi inglesi per fargli cambiare idea, né servì il faraonico rinnovo propostogli dall’allora neopresidente, il multimiliardario Abramovich. Pare che il magnate russo fosse salito sul proprio jet ed abbia letteralmente rincorso il giocatore nel tentativo di fargli cambiare idea un attimo prima che questi firmasse per Cellino.

Ma niente, la parola è una sola e forse anche nelle parole dei suoi figli che masticavano l’inglese più del sardo Zola lesse l’importanza del suo ritorno a casa.

Sono storia di oggi le tranquille salvezze raggiunte con la squadra della sua isola, salvezze che costituiscono l’ultima vittoria di un giocatore campione soprattutto fuori dal campo semplicemente perché, sul rettangolo verde, ha vinto sicuramente meno di quanto non avesse meritato.

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