ITALO ALLODI, IL DIRIGENTE GENTILUOMO

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Era come il Re Mida; dove arrivava le cose cominciavano a marciare alla grande. Italo Allodi, toscano D.O.C., dopo essere stato discreto calciatore negli anni '50, iniziò la sua scalata ai vertici del calcio che conta, nel Mantova allenato da "Mondino" Fabbri che nei primi anni '60, conquistò la bellezza di tre promozioni consecutive dalla serie D alla serie A, diventando così popolare da disputare una tournée in Usa, nel corso della quale, l' intera squadra, fu addirittura ricevuta alla casa bianca dal Presidente Kennedy, al quale fu regalato un pallone immediatamente girato al piccolo John – John. Le sue capacità di organizzatore unite ad una dialettica che incantava gli interlocutori ( oltre alle sue doti di profondo conoscitore della materia calcistica), fanno sì che il Presidente dell' Inter Angelo Moratti, lo vuole fortissimamente alla sua corte, deluso da una lunga serie di ripetuti insucessi. Insieme al "Mago" Herrera, Allodi plasma una squadra destinata a dominare il mondo, oltre che l' Italia. Il suo colpo da maestro é l' ingaggio nel 1961 di Luisito Suarez, strappato al pur ricco Barcellona previo indenizzo di 225 milioni. Quando si parla della "grande" Inter , il riferimento alla "triade" Moratti – Allodi – Herrera diviene assolutamente spontaneo ed immediato. Nel 1968, con la cessione della società ad Ivanoe Fraizzoli, anche Allodi ed Herrera lasciano l' Inter, sistemandosi rispettivamente alla Juventus ed alla Roma. Allodi compie il terzo capolavoro della sua carriera, gettando insieme ad un giovane Boniperti le fondamenta per la costruzione della squadra che dominerà il calcio italiano per tutti gli anni '70 (5 scudetti fra il 1972 ed il 1978); ma Allodi non visse tutte da protagonista quelle stagioni indimenticabili per il popolo juventino. Nel 1973, quando ormai la convivenza con Boniperti era diventata difficile da digerire per entrambi, dopo anni di splendida intesa, Allodi se ne va, chiamato dalla Federazione a far muovere i primi passi al nuovissimo centro tecnico di Coverciano, ancora attualmente sede di ogni ritiro delle varie nazionali. Ma la separazione non lasciò assolutamente strascichi fra i due, tanto che molto onestamente qualche anno dopo, Allodi confessò : " Quando me ne andai dissi a Boniperti che, se io fossi stato lui e lui me , mi sarei…licenziato !". Allodi istituisce il corso ufficiale per allenatori, una vera e propria Università del calcio, ospitando a turno oltre che tecnici nostrani, anche alcuni dei più celebri "mister" di tutto il mondo. Sino ad allora, praticamente si poteva ( quasi sempre ) passare dal campo in panca senza inframezzi di alcun tipo ; alla fine del corso ( che durava e dura un intero anno), la cattedra rilasciava i voti proprio come fosse una vera Università ( 110 e lode e così via ). Dopo la triste esperienza come manager dell' Italia ai mondiali tedeschi del 1974 ( gli azzurri furono eliminati al primo turno), Allodi resta nel dorato ragno del verde della località toscana sino all' autunno del 1982, richiamato in corsa dalla sua squadra del cuore, la Fiorentina del conte Pontello. In disaccordo con la società sull' acquisto del "Doutor" Socratès ( ed i fatti gli daranno ragione), lascia nel' aprile del 1984 la società viola, per approdare in autunno alla poltrona di opinionista della " Domenica sportiva", dove Allodi se la cavò talmente bene da sembrare essere nato in televisione. Ma il suo carisma e la sua esperienza sono destinati a non rimanere ai box per troppo tempo; dopo anni di infruttuosi corteggiamenti, finalmente l' Ing. Ferlaino corona il suo sogno di sempre, convincendo Allodi a trasferirsi a Mergellina. E' lui a volere Ottavio Bianchi, Bruno Giordano ed Alessandro Renica, tentando sino all' ultimo di portare anche Nando De Napoli, colpo comunque riuscito la stagione successiva. Terzo posto nel 1985 – '86, stagione macchiata da voci (poi tramutatesi in inchiesta) su una presunta "combine" nella quale fu fatto il suo nome, in merito ad un Napoli – Udinese terminato 1 – 1. Per onestà di cronaca dobbiamo anche ricordare che nel 1973, fu anche accusato da un giornale inglese di aver tentato di corrompere l' arbitro portoghese Lobo alla vigilia della semifinale di Coppa Campioni Juventus – Derby County. Entrambe le volte però le inchieste riconobbero la non responsabilità di Allodi ai fatti summenzionati. Nel febbraio del 1987, quando Maradona e c. volavano verso la gloria del 1° scudetto, regalando ad Allodi l' ennesimo trionfo della sua impareggiabile carriera, un terribile ictus lo colpì nella sua camera di albergo del " Royal ", facendolo rimanere fra la vita e la morte per diversi giorni. Allodi se la cavò, ma da quel momento le sue condizioni di salute gli impedirono di continuare a lavorare, facendolo diventare a tempo pieno ottimo commentatore ( sopratutto radiofonico per evidenti motivi). Uno dei più grandi ( se non il più) grande manager di sempre del calcio italiano di sempre si spegne qualche anno dopo nella sua casa immersa nel verde delle coline toscane, intristito dal non essere ancora in pista nel mondo del calcio, il grande amore della sua vita.

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