“Il dito contro”: Che fine ha fatto il Diavolo?
Il focus di questa giornata di campionato è dedicato alla crisi in cui versa una delle squadre più titolate al mondo, con una storia bellissima e fatta di successi sotto il segno delle stelle che di questo club ne hanno vestito la maglia ma che ad oggi fatica ad uscire da un impasse che ha radici lontane: parliamo del Milan.
Sarebbe la strada più facile attribuire le colpe – “puntare il dito” – contro chi siede in panchina ossia Marco Giampaolo; un uomo solo dalle scelte confuse e dalle offuscate doti sì, ma che è alla guida di una squadra che ormai da anni vive l’incubo peggiore per chi è stato veramente “grande”: essere niente.
Il Milan come una vecchia star del cinema col terrore dell’oblio ha cambiato pelle numerose volte in questi anni, ricercando in un uomo soltanto le giuste motivazioni per riemergere – a poco è valso che di volta in volta quell’ “uomo” fosse stato una bandiera e un simbolo del suo glorioso passato – come una diva capricciosa la Milano rossonera li ha presi e gettati via; per averne conferma basterebbe citofonare a Inzaghi, Seedorf e Gennaro Gattuso. Oggi quell’uomo è Marco Giampaolo allievo dichiarato di chi s’è fatto juventino per dimostrare che le idee valgono più dei campioni, ma per il quale è facile – oggi più di ieri – predicare e costruire visto che allena gente come Cristiano Ronaldo. Il compito affidato a Giampaolo è un tantino più arduo: predicare e cercare di costruire in un Milan vittima dei suoi fantasmi e dove da anni non cresce più niente.
Non possono essere attribuite ad un solo uomo tutte le colpe: le sconfitte in campionato, l’incapacità del Diavolo di rialzarsi, la squadra scollata coi tifosi che lasciano San Siro. Lo sa bene Paolo Maldini, innamorato, bandiera e oggi ai vertici societari di questo Milan che dopo la sconfitta con la Fiorentina ha rinnovato la fiducia a Giampaolo, consapevole forse anche lui, del fatto che l’allenatore è stato chiamato al compito di costruire una cattedrale in un deserto.
È ancora più assordante la crisi della Milano rossonera se si guarda ai cugini: l’Inter prima in classifica che ha ritrovato cuore, gambe, un pizzico di fortuna e tanta testa affidandosi ad Antonio Conte. Un sanguigno senza la paura di interfacciarsi con una piazza – che non dimentica la storia e guarda ancora di sbieco a quello che è stato un antico rivale – e che non ha avuto timore nel compiere scelte “scomode” assumendosi la responsabilità di far rialzare la testa al Biscione che oggi guarda tutte le altre dall’alto in basso.
Conte alla guida dell’Inter sta stilando partita dopo partita il vademecum di “come si fa l’allenatore” – al di là degli schemi tattici – per il sangue, la passione e la voglia di essere leader di una squadra che vuole vincere. Probabilmente non riuscirà a strappare lo scettro alla Juventus di Sarri ma ad oggi si sta dimostrando perfetto per un gruppo che aveva bisogno di essere rimesso in riga, uno al quale gli ammutinamenti – come quello di Piatek verso Giampaolo ad esempio – e l’anarchia non stanno bene: obiettivo comune, scelte oculate e fame di uscire dall’ombra. Forse al Milan sarebbe servito un uomo con la mentalità di Antonio Conte, uno che “bastonasse” i suoi ricordandogli ad ogni passaggio sbagliato che al Milan sono abituati ai protagonisti e non ad evanescenti comparse.
Probabilmente anche un allenatore come Ranieri avrebbe funzionato – e forse funzionerà – in questo gruppo, perché per combattere l’aridità del presente bisognerebbe coltivare le idee del passato, non per specchiarsi consci di un modello ormai irraggiungibile ma per fare della storia un motore per ripartire; e un mister come sir Claudio Ranieri saprebbe di certo come ricordare e instillare in un gruppo giovane un pensiero di questo calibro. Queste, come quelle avvicendatesi nelle ultime ore, sono soltanto speculazioni perché è una delle prime leggi del calcio che quando le cose vanno male la prima testa a rotolare giù è quella dell’allenatore.
Il “dito contro” di questa sesta giornata di campionato non è puntato esclusivamente all’indirizzo di Marco Giampaolo, ma l’accusa abbraccia i giocatori e l’intera società che stanno privando il campionato italiano del fascino per tutte le squadre di affrontare il Diavolo che dovrebbe incutere timore reverenziale, fosse solo per quello che ha rappresentato. Invece del passato sembra farsi beffe persino Silvio Berlusconi, ex patron e primo artefice delle fortune del Milan, il quale ha dichiarato recentemente che il Monza – sua nuova squadra – potrebbe battere senza problemi i rossoneri. Affermazioni amare, paradossali e significative.
Riccardo Cocciante cantava: “Povero Diavolo che pena mi fai” , da penna che scrive di calcio prima che tifosa di una squadra avversaria, l’augurio per il Milan è che tutte in campionato possano tornare ad avere paura del rosso e del nero, del Diavolo e della Sud. Il dito è puntato al Milan desaparecido in Serie A, perché chi ama il calcio non dimentica e chi ama questo sport non può non sentire il peso dell’assenza di questa squadra che oggi ha i contorni sfumati di un pesante e vecchio fantasma.