GIANDUIA MECCANICA

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Drughi. Questo nome a qualcuno rievocherà senz’altro un’opera, letteraria prima e cinematografica poi, chiamata Arancia Meccanica. Drughi era il nome del gruppo di ragazzini annoiati che andavano in giro per le case a pestare gratuitamente la gente perbene. La straordinaria potenza di quella storia sta nell’abilità che hanno Burgess prima e Kubrick poi nel farci provare più pietà per il carnefice che per le vittime, una volta vista la punizione che tocca al protagonista. Ecco dov’è che si dirama la vicenda dei Drughi cinematografici (sarebbe troppo sperare che un gruppo di imbecilli abbia letto un libro) da quella dei Drughi juventini: nella compassione. Perché questi ultimi probabilmente non saranno mai puniti per la loro vigliaccheria e nei loro confronti al posto della pena ci resteranno solo odio e disgusto.

 

Cosa è accaduto lo sa bene mezza Napoli. L’altra metà sicuramente rimarrà all’oscuro di tutto così come il resto d’Italia, visto che sui giornali che contano la notizia ha avuto lo stesso risalto che a Londra avrebbe una pioggerellina autunnale: zero assoluto. Per amor di cronaca i fatti sono questi. Alla fine della partita fra Juve e Napoli si scatena una spirale di vergognosa violenza gratuita. Una frangia del più famoso gruppo ultrà juventino (i Drughi, appunto), che già per tutto l’arco della gara si era distinta per i soliti cori imbecil-razzisti all’indirizzo dei napoletani, ha pensato bene di sfogare la delusione per una sconfitta ignominiosa nel modo più abietto possibile. Come un branco di iene che si sentono forti soltanto se in gruppo sbranano una gazzella indifesa, questi animali hanno massacrato di botte un signore giunto allo stadio col figlio con tanto di sciarpa azzurra al collo e un povero cristo che aveva appena guardato la partita con la sua fidanzata. La caccia al napoletano proseguiva all’esterno dello stadio con ulteriori tafferugli sotto l’occhio inerme e quasi compiacente del servizio d’ordine dell’Olimpico. Terrore e distruzione, sì, ma solo con chi non può difendersi, soltanto con chi è andato a guardare una partita di calcio convinto che non bastasse una vittoria del Napoli per trovarsi in una festa di botte contro un branco di bestie. Anche perché probabilmente la vittoria del Napoli, e il calcio in generale, con quest’immondizia umana non c’entra assolutamente nulla.

 

Il giorno dopo e quello dopo ancora monta la rabbia, il senso di frustrazione nell’immaginare che al termine dell’oretta di follia codesta feccia avrà festeggiato “l’impresa” con un Negroni e una striscia di cocaina (molto più prosaiche del latte-più di Kubrick), mentre un bambino traumatizzato a vita o una ragazza in lacrime accompagnavano i loro cari insanguinati in ospedale. A maggior ragione la rabbia cresce se il giorno dopo non si legge neanche un trafiletto sui quotidiani per stigmatizzare l’episodio, ben sapendo che a parti invertite il mostro partenopeo sarebbe stato (giustamente, per carità) sbattuto su tutte le prime pagine. E che nervi sentire il solito fighetto con gli occhiali colorati che discetta con indignazione posticcia delle bombe carta di Roma o perfino dei cori fiorentini contro un avversario senza spendere una sola parola per i suoi con-tifosi che massacrano innocenti solo perché napoletani. Possibile che non ne sapesse nulla? Difficile, molto difficile, così come è difficile che giornalisti sempre pronti a giudicare i vestiti della D’Amico o le parolacce di Cassano non abbiano saputo nulla di un fatto di cronaca, quella vera, quella che ormai nel calcio ha lasciato spazio alla marea di vaccate che si legge sui giornali e si vede in tv. La tessera del tifoso è solo uno scudo dietro il quale si nascondono stampa e politica per palesare la loro incompetenza in materia, un documento che serve solo da facciata per celare l’immobilismo totale nei confronti di una piaga sociale, più che sportiva. Hai voglia a vietare le trasferte ai tifosi veri, ciò che non si è ancora capito è che chi fa male al sistema sono i tifosi finti, quelli che si fanno schermo dietro le sciarpe e dietro al branco per sfogare la pochezza della propria persona. E quelli lì sono talmente vigliacchi che sarebbe meglio vietargli le partite in casa (dove si sentono protetti e in diritto di fare ciò che vogliono) che quelle in trasferta.

 

 

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