CALCIO& ARTE PRESENTA: LA FUGA DI STALLONE, PELE’ E CO.

Forse il miglior film mai realizzato sul calcio, Fuga per la vittoria di John Houston è il racconto di una partita speciale sullo sfondo della guerra. E con un cast stellare, anche in campo

A giudizio unanime, è definito il miglior film di sempre dedicato al calcio. Forse perché vi è alle spalle il background storico, tragico e distruttivo, ma talvolta non privo di umanità, della Seconda Guerra Mondiale. O forse perché lo spettatore assiste a una vera partita di calcio, disputata da giocatori veri, da atleti che sul tappeto verde hanno trascorso una vita: Ardiles, Bobby Moore, Van Himst, Deyna, Wark. E, über alles, la perla negra Pelé. E forse perché ad affiancarli vi sono dei ‘comprimari’ (per modo di dire …) di tutto rispetto, finanche calati negli inediti panni di footballeurs: Max von Sydow, ma soprattutto Michael Caine e Sylvester Stallone. Ad aprire la nostra rubrica Calcio e Arte è un must per appassionati di cinema e pallone: Fuga per la vittoria (Victory in originale), diretto da John Houston nel 1981.

CALCIO E GUERRA – La trama è nota a tutti, o quasi. 1941, in pieno conflitto con l’esercito di Hitler che ha in mano mezza Europa. Un gruppo di Alleati è detenuto in un campo di prigionia tedesco, eppure si svaga con il calcio. Tra i volenterosi calciatori c’è l’aviatore canadese Hatch (Stallone), che si diverte seppur di malavoglia, essendo lui abituato all’altro ‘foobtall’, quello americano fatto di placcaggi e non di falli. Organizzatore delle sfide tra soldati è il capitano britannico ed ex calciatore Colby (Caine), riconosciuto dal maggiore nazista von Steiner (von Sydow). Il teutonico ama il calcio e gli fa una proposta curiosa: giocare una partita tra i prigionieri Alleati e i soldati della Wehrmacht. L’inglese accetta dopo qualche tentennamento, ovviamente a condizione che la ‘squadra’ possa ricevere il giusto trattamento ed equipaggiarsi in modo da giocare in maniera decente. Apparentemente senza pretese (“Per cosa giochiamo? Diciamo per il morale”, dice von Steiner a Colby), l’iniziativa diventa subito un pretesto bello e buono per la propaganda nazista, che dà al futuro evento un’impronta politica e costringe la sostituzione della Wehrmacht proprio con la Nazionale tedesca, oltreché la disputa dell’incontro allo stadio Colombes di Parigi, città occupata. Colby allora chiede che alla sua squadra vengano aggregati altri Nazionali, ora militari ostaggi dei tedeschi; tra questi anche i polacchi e i cecoslovacchi, chiusi nei famigerati lager, ridotti in condizioni misere e minati nel fisico. Il collettivo però è ben dotato, specie per la presenza del talentuoso Fernandez (Pelé), originario di Trinidad. Colby è capitano-allenatore, Hatch invece è ufficialmente solo preparatore, sebbene durante i duri e stimolanti allenamenti scopra di avere le doti del portiere. Ma in testa ha altro: da diverso tempo infatti sta progettando una fuga solitaria dal campo, aiutato dagli ufficiali Alleati prigionieri. E questi gli affidano un compito delicatissimo: scappare fino a Parigi, mettersi in contatto con la Resistenza francese e capire se è possibile la fuga anche per gli altri calciatori. In maniera rocambolesca il canadese riesce ad arrivare nella Capitale e ad architettare un piano con i partigiani transalpini: gli Alleati fuggiranno dagli spogliatoi del Colombes tramite un buco, scavato nei lavatoi, che conduce a vecchie fognature della città. Qualcuno deve pur comunicare l’informazione a Colby e compagnia, sicché Hatch si lascia catturare dai tedeschi e ricondurre al campo, ove però viene chiuso in isolamento fino a dopo il match. Come farlo uscire da lì? Colby convince von Steiner che Hatch è il portiere e che quello titolare, Tony Lewis, s’è rotto un braccio; e il braccio il povero inglese se lo fa rompere davvero …. Dunque gli Alleati partono per Parigi; forse non pensano nemmeno il clima che li attende ….

CHE PARTITA! E CHE FUGA! – Parigi ha risposto all’evento: la partita è un’occasione politica per i tedeschi, ma anche per i loro nemici, per tutto il mondo avverso alla tirannia hitleriana, e quindi, oltreché di drappi con la svastica e di alti ufficiali nazisti, Colombes è piena zeppa di francesi orgogliosi. Il tutto mentre un enorme spiegamento di forze sorveglia la squadra Alleata, e i partigiani si mettono al lavoro per organizzare la fuga. L’ambiente mastodontico lascia presagire una sconfitta per Colby e i suoi. E la sensazione emerge fin dai primi minuti della partita: i tedeschi sono ben organizzati in campo, d’altronde giocano da più tempo insieme. Quel ch’è peggio è l’estrema tolleranza dell’arbitro neutrale (che forse tanto neutrale non è …) nei confronti del loro gioco maschio e duro, fatto di falli e scorrettezze totalmente ignorate dal giudice di gara. Gli Alleati ci mettono il tutto per tutto, con impegno e anche qualità, ma già verso la fine del primo tempo sono sotto di quattro reti. Hatch sembra non trovarsi bene tra i pali e commette degli errori, peraltro non riuscendo a parare il rigore del 3-0. E a fare le spese della violenza tedesca sono stati van Beck e anche Fernandez, costretti a uscire. Gli Alleati però riescono a trovare sul finire del primo tempo la rete dell’1-4, tornando negli spogliatoi carichi di entusiasmo. Sono pronti a fuggire durante l’intervallo, ma improvvisamente ci ripensano: sanno che scappare è pericoloso, ma soprattutto si sentono forti, nient’affatto inferiori ai tedeschi, e vogliono tornare in campo per regalare una gioia al pubblico amico, per dare una vera lezione all’avversario. Ci mettono l’anima e il cuore, recuperando fino al 3-4. Ed ecco il momento-clou: Fernandez chiede di rientrare, scende palla al piede (toccandosi l’arto infortunato con la mano) lungo tutto il campo, un compagno gli da palla alta e la perla negra si esibisce in una spettacolare rovesciata. Un gesto bellissimo, immortalato con un superbo ralenti dal regista, un’acrobazia perfetta. E von Steiner applaude. Mentre tutto il pubblico francese accompagna i minuti finali cantando la ‘Marsigliese’, arriva l’altro momento-clou: un rigore inesistente fischiato per i tedeschi. Stavolta però Stallone non ci casca: si tuffa a saracinesca e para, accolto dall’abbraccio dei compagni e dal tripudio della folla. Che varca le transenne, resiste all’opposizione delle guardie tedesche e invade il campo, permettendo a Colby, Hatch, Fernandez e gli altri di poter fuggire. Di scappare via, di lasciare l’inferno e l’oppressione, di andare incontro alla libertà, alla vittoria. Quella vittoria che arriverà puntuale quattro anni dopo. E a essa sembra andare con ottimismo il pensiero dello spettatore, mentre il pubblico fuoriesce dai cancelli di Colombes in un suggestivo piano-sequenza in chiaroscuro. E mentre von Steiner guarda rassegnato dalla tribuna d’onore, quasi presagendo ciò che accadrà in futuro per la Germania futura sconfitta.

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