FUGA DA NAPOLI

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Sull’argomento di quest’articolo si potrebbe girare un film, prodotto (mais naturellement…) da Aurelio De Laurentiis. “Fuga da Napoli”, revisione del dramma carcerario di Don Siegel. Oppure, non dissimilmente, “2013: fuga da Napoli”, remake del gioiello di John Carpenter. Avrete capito che ridiamo per non piangere, cosa che ultimamente accade spesso quando parliamo della nostra squadra del cuore. Dunque, rimanendo nella facezia, potremmo dire che dei due titoli il primo appare più azzeccato, poiché la suddetta fuga non è una novità di quest’anno, ma anzi è roba vecchia, già vista in passato. E ove mai se ne realizzasse una pellicola, gli attori sarebbero i giocatori del Napoli scappati via dall’azzurro in questi quattro anni, compreso l’ultimo appena iniziato. Scappati non per paura della città e dell’ambiente, o per idiosincrasia nei confronti della maglia, bensì perché messi ai margini e impossibilitati a giocare a causa di friabili e sclerotiche gerarchie, o di non chiarissime scelte tecniche. Gerarchie e scelte tecniche partorite dalla capa gloriosa di chi ha in pugno la gestione tecnica della squadra.

Il primo a fuggire nel neonato 2013 è stato Aronica. Poteva anche starci che al bagherese fosse preferibile il concreto Gamberini e che talvolta Mazzarri desse qualche chance a Britos. Tuttavia l’umile Walter l’ha totalmente accantonato, ed è inutile stupirsi se il difensore, emarginato e senza stimoli, abbia perso sicurezza nei propri mezzi, al punto da riprodursi nella marchiana topica costata la vittoria con il Torino;  e se, al fine di riavere tali stimoli, abbia chiesto di cambiare aria. Difatti, iniziando l’avventura nella sua Palermo, ha detto che il suo ciclo partenopeo era terminato, dando a intendere l’impellente necessità di giocare. La stessa necessità caratterizzante altri sventurati trattati come uno straccio Pannopel dal Santone di San Vincenzo. Tra questi, il più sicuro di sloggiare è Dossena, anche lui alla volta della Sicilia. Ok, è la brutta copia di se stesso da una vita, eppure chissà che sarebbe accaduto qualora, scendendo in campo un po’ di più, il lodigiano avesse ritrovato quella gamba della quale proprio lui aveva parlato dopo il match vinto col Solna. Ah già, dimenticavamo che si è preferito insistere su Zuniga, uno dei migliori esterni d’Europa (Mazzarri dixit)… Il suo desiderio, espresso per interposta persona oltreché dai suoi procuratori, è ben chiaro: vuole giocare. Così come vuole giocare Vargas, svogliato per quanto si vuole, ma non meno generoso, non ambientatosi nel calcio italiano per limiti caratteriali, è vero, ma soprattutto a causa del suo limitatissimo impiego (“viene da un calcio diverso dal nostro”, “giunge da un campionato che io non guardo, infatti non lo conoscevo”: eh, mister?). O Rosati, reincarnazione del defunto Mattolini, non disprezzato a Lecce ma insicuro e fallito in azzurro forse proprio per l’assenza di motivazioni dovuta alla scarsa fiducia ripostagli dall’allenatore, e perciò pronto a cogliere al volo il treno buono che lo porterebbe via da qui. O Fernandez, titolare inamovibile nell’Albiceleste di Sabella, tanto da venire acclamato in Patria e paragonato a Tata Brown, ma costretto ad impolverarsi in panchina in azzurro, il che forse non accadrebbe in quella Bundesliga dove c’è chi lo terrebbe in considerazione. O Dzemaili, schierato col contagocce e in un ruolo non suo, lui che è trequartista fino al midollo, o comunque regista, ma è chiuso da Hamsik e si ritrova a fare il vice dei suoi connazionali Behrami e Inler; E difatti dalla Svizzera è rimbalzata la voce secondo la quale Blerim stesso avrebbe avanzato richiesta di cessione. Come dargli torto, se davvero così fosse? Ma, dicevamo prima, le fughe da Napoli non sono un fatto inedito. Il ‘metodo Mazzarri’, se così si può definire, di vittime ne ha mietute eccome, in tal senso. Prendiamo Cigarini, ad esempio, forzato ad andarsene a malincuore dopo una sola annata perché i registi come lui non sono graditi al mister, incapace peraltro di ritagliargli una funzione alternativa nel suo rigido scacchiere tattico. O Denis, anche lui scaricato in fretta e furia come un pacco postale, non essendo ritenuto all’altezza dei titolarissimi per le poche reti messe a segno, infatti a Bergamo l’anno scorso ne ha fatte 16 e in quest’annata è già a 7…. O Ruiz, costato una barca di soldi (8.5 milioni di Euro) malgrado la giovane età e ignorato da un allenatore che non s’appassiona alla Serie B, figuriamoci alla Liga Spagnola, che non vede i giovani manco con una lente d’ingrandimento. Lo stesso motivo per cui, insieme al catalano, hanno fatto le valigie anche Dumitru, che comunque anche a Empoli e Terni è riserva delle riserve; Vitale, nonostante la sua voglia di emergere con la maglia azzurra, bravo tuttavia a farsi rispettare altrove; Hoffer, anch’egli scartato totalmente dall’umile Walter (del resto il Santone non visionava le gare della Bundesliga austriaca). E potremmo, infine, citare anche il reprobo e mai più desiderato Matteo Gianello. Guai a lui se un giorno rimettesse da turista il piede nel reame, eppure lui stesso, parlando di Mazzarri al Mattino, ha detto: “Lui nemmeno mi guardava, una volta mi chiamò Guardalben perché neppure conosceva il mio nome. Con lui se non sei un titolarissimo neppure esisti”.

“Se non sei un titolarissimo neppure esisti”: una frase che sembra racchiudere in sé medesima il senso, non solo tecnico-sportivo, ma anche umano della gestione di un allenatore. Gestione predicata in un certo modo dal suo artefice, ma praticata in tutt’altra maniera. Eh sì, perché tra le tante farneticazioni coniate da Mazzarri in questi quattro anni ce n’è una ad hoc per il tema in questione: “Il mio gruppo è sempre stato unito, non ho mai guidato una squadra così affiatata, i giocatori mi amano”. Se è così, perché allora i giocatori, anziché sentirsi parte integrante del gruppo, mostrano insofferenza e desiderano togliere il disturbo? Meglio non pensarci troppo, la risposta è semplice: il Napoli è guidato da un allenatore radicale e integralista, poco incline al motto “tutti sono importanti, nessuno è indispensabile”, troppo immerso nelle sue rigide convinzioni circa il fatto che il titolarissimo è un mostro a priori, pure con l’orticaria, mentre la seconda linea è inutile a prescindere. Ed è inutile perché non la conosce, infatti a visionarla prima e acquistarla poi sono stati altri, senza concertarsi con lui né chiedergli se quel giocatore fosse realmente utile al suo tipo di gioco o no. Di come le campagne acquisti vengono condotte nel club ce ne siamo già occupati, non serve tornarci. Ma una constatazione la possiamo fare; cioè, che andando avanti di questo passo, la fuga di calciatori, molti dei quali pagati caro e amaro, rischia di non concludersi anche se lo stesso Mazzarri a fine anno scappasse: secondo voi, scottati come sono, Dzemaili e compagnia avrebbero ancora voglia di rimanere a Napoli?

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