DEAD MAN PARKING

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Oh, ce ne ha messo di tempo a traboccare ‘sto vaso. Eppure erano mesi che le gocce ormai emettevano quel rumore aperto di quando il flusso è arrivato in cima e di spazio non ce n’è proprio più. Alla fine Adriano “Montenegro” Galliani non ce l’ha fatta e l’antico vaso si è schiantato al suolo, traboccando e portandosi con sé Allegri e il dito dietro cui il suddetto si nascondeva da una vita. Per la gioia dei tifosi che erano al Max della sopportazione e che finalmente si sentono liberi, se non della mediocrità, quantomeno dell’ombra di un poltronissimo da competizione.

 

Il punto è proprio questo. Spesso ci scagliamo contro presidenti folli, che addebitano ai propri allenatori le colpe di campagne acquisti da schiaffi, portate avanti da loro stessi e da qualche altro zelante dirigente. Invece mai come stavolta c’è almeno un concorso di colpa. Che il board rossonero abbia chiuso i rubinetti da tempo non è un mistero, così come non è un mistero che le ultime sessioni di mercato sembrassero puntate di Masterchef, per quanto erano belli e insipienti i piatti proposti. Allegri è stato per lungo tempo il parafulmine di questo andazzo, avallando malvolentieri il progressivo declino e sorbendosi di volta in volta ciò che passava il convento. Poi la musica è cambiata, se non negli strumenti di sicuro sul pentagramma; gli hanno preso Balotelli, Kakà e il pupillo Matri, quest’ultimo proprio per togliergli ogni alibi. In seguito – va detto – il Milan si è comportato in maniera cafona e poco lungimirante delegittimando il suo allenatore ad ogni angolo, strizzando l’occhio ad ogni voce che circolasse sul futuro della panchina ed esprimendo continue perplessità sull’operato del tecnico. Messaggio forte e chiaro: non ti vogliamo più, se ti teniamo è perché dovremmo pagarti una barca di soldi. Situazione sempre più insostenibile, al punto che poi Allegri è esploso annunciando il suo addio con sei mesi di anticipo. Una scelta boomerang, perché ha scritto a caratteri cubitali ciò che ormai pensavano un po’ tutti, e cioè che la storia fra il livornese e il Milan si trascinava solo per inerzia. L’ostacolo erano i 2,5 milioni in busta paga fino a giugno, l’unica sicura di una bomba innescata da tempo. È chiaro che in casi del genere ci vuole un passo indietro del dipendente, che non solo ha fallito in ciò che gli garantiva lo stipendio, ma lo ha anche ammesso pubblicamente con quelle dimissioni ad orologeria. Rinunciare al resto dell’immeritato ingaggio sarebbe stato se non altro un gesto di grande dignità. Questa sconosciuta, a quanto pare. 

 

Perché poi, a guardarla bene, la rosa del Milan non è neanche poi così malaccio. C’è sicuramente bisogno di qualche altro innesto, poi comunque si sarebbe competitivi per un medio livello. Almeno un Verona, per dire. In ogni caso Allegri era sì una zavorra, ma non certo l’unico dei problemi. Ora che si è liberata del fardello, lady B inizi a pensare alle cose serie. C’è da sistemare uno spogliatoio di buona qualità tecnica ma dalla scarsa quota umana, fra teste calde, primedonne e smidollati da raddrizzare. Serve un pugno forte, uno che riporti l’ordine e che abbia il coraggio di liberarsi di qualche mela marcia. Uno più bravo che bello, per intenderci. Sarà dura, ma questo è calcio, non un talent show

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