Comunicato male
“Si comunica ai nostri beneamati tifosi che, a partire dalla prossima partita, il settore della curva che ha esposto gli striscioni contro Ciro Esposito e sua madre sarà rinchiuso in una gabbia, e i calciatori da oggi in poi anziché le maglie tireranno le noccioline”. Ecco, forse questo qui poteva essere un comunicato un attimo più azzeccato rispetto a quello che ha pubblicato l’AS Roma in merito ai fatti dell’Olimpico. Quello che hanno diramato loro è inconsistente, spara nel mucchio e non ha neppure l’ombra di una condanna agli esecutori dello scempio di sabato. In parole povere non prende una posizione che sia una. A quel punto magari sarebbe stato meglio non dire proprio nulla, in ossequio a quel famoso detto che invita a star zitti e lasciare tutti nel dubbio.
Sugli striscioni contro la signora Leardi onestamente si è detto già abbastanza, ogni ulteriore parola sarebbe superflua e darebbe ulteriore importanza ad aborti dell’umanità che importanza non dovrebbero mai averne. Come hanno già detto benissimo editorialisti molto più accreditati del sottoscritto, discutere di queste proscimmie e con queste proscimmie significherebbe svilire l’evoluzione umana e scendere al loro livello, finendo inevitabilmente con l’essere battuti dalla loro arte. Invece è molto più costruttivo sviscerare il senso del comunicato della Roma ed evidenziarne le falle, che almeno si discute fra persone sullo stesso gradino della scala evolutiva. In primis è sbagliato l’approccio, l’accomunare gli sfottò abituali a quanto visto all’Olimpico. Scherzare sulla morte di un “nemico” è inqualificabile, ma è una pratica perpetrata da tutti gli Ultras d’Italia e probabilmente del mondo, settimana dopo settimana. Non è ortodosso ma è il loro modo, contenti loro contenti tutti. Stavolta i romanisti (attenzione, ALCUNI romanisti) hanno alzato l’asticella, sindacando sull’elaborazione del lutto di una madre che ha perso un figlio e facendolo per giunta in maniera ignorante, visto che la signora Antonella su quella tragedia sta facendo tutto tranne che lucrarci. La Roma avrebbe dovuto capirlo e trattare il suo bestiame in quanto tale, stigmatizzando gli striscioni e isolando gli autori, magari collaborando pure per farli beccare e spedire in qualche fogna comune. Non accadrà, state certi che alla prossima li rivedrete ancora lì. E dire che più che un giro di vite basterebbe un colpo di scopino. Ma vabbè.
In seconda istanza è ancora più grave aver voluto accomunare tutti i “morti da stadio” in un’unica insalata di nomi e cognomi, tentativo che denota quantomeno una tragica miopia. È vero, Paparelli, De Falchi, Sandri, anche lo stesso Raciti, tutti meritano lo stesso identico rispetto che si deve a Ciro Esposito, perché sono tutte persone che hanno perso la vita nel corso di una stupida partita di pallone, quando il peggio che ti può succedere dovrebbe essere che la tua squadra perda come ha fatto il Napoli sabato e invece si sfocia nell’assurdo. Fin qui ci siamo. Il senso è condivisibile ma ad un livello più profondo va fatto un distinguo fondamentale. La “morte di calcio” (che definizione inopportuna…) è l’unico tratto che accomuna tutti questi ragazzi con Ciro, poi ad un livello più profondo c’è una differenza abissale. Gabriele Sandri fu ucciso da una pallottola vagante, Paparelli da un razzo. Raciti per cause ancora molto nebulose, De Falchi addirittura per un arresto cardiaco mentre correva. La discriminante comune è la casualità, la colposità o al massimo la preterintenzionalità. No, non è la stessa cosa. Ciro è stato ucciso, è stato ammazzato da uno squilibrato che resta un coglione isolato finché un gruppo di Ultras della curva non si schiera palesemente dalla sua parte. Questo è un omicidio e tutti quelli che ne fanno apologia ne sono complici. Anzi, in un certo qual modo sono coinvolti anche quelli che glissano e quelli che spostano il tiro, seppur in buona fede. Se partiamo da questo presupposto qui forse un giorno riusciremo pure a venirne a capo.
ANTONIO PAPA