CAMPAGNARO, L’UOMO SI RACCONTA: “ARRIVARE SIN QUI MI E’ COSTATO TANTA FATICA E TANTI SACRIFICI”

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Chi conosce Hugo Campagnaro lo descrive come un argentino atipico, chiuso, riservato, quasi musone. Basta rifarsi alle parole dello zio, Sergio Castillo, che dice di lui: “Huguito è un po’ timido, glielo dico sempre che deve parlare di più con la stampa, farsi conoscere”. Già, la stampa, una delle prime passioni di Hugo. Agli inizi da calciatore nel Deportivo Moron, Campagnaro studiava da giornalista sportivo, collaborando con la rivista argentina “Solo Futbol”. Oggi che il giornalista non lo fa più, ha un suo sito personale nel quale risponde alle domande dei suoi tifosi. Per capirne di più sul personaggio Campagnaro, introverso fuori, ma leone quando entra in campo, abbiamo pensato di tradurre e proporre per la prima volta in Italia un’intervista rilasciata qualche mese fa al collega argentino Hernán Laurino di “Dia a dia”, nella quale il neo-difensore azzurro si racconta a 360°.

Hugo, com’è cominciata la tua carriera da calciatore?

“Per caso. Ero molto giovane, avevo 15 anni, e andai a giocare a Buenos Aires. Non mi passava proprio per la testa di diventare un calciatore professionista, lo vedevo più come un diversivo il calcio. Coincidenza volle che un gruppo di ragazzi della mia città andò a provare lì e mi portarono con loro. Finimmo a giocare nel Deportivo Moron, squadra con la quale ho poi esordito in Serie A a 18 anni”

Com’è cambiata la tua vita quando poi ti sei trasferito in Italia?

“All’inizio fu molto difficile per me. Avevo 21 anni, ero solo, non conoscevo la lingua. Però per fortuna a Piacenza mi fecero sentire subito come a casa. Sapevo che quella era la grande occasione della mia vita e che dovevo fare di tutto per adattarmi il prima possibile. I miei familiari cominciarono a far la spola tra l’Italia e l’Argentina per venirmi a trovare. Mia madre, i miei fratelli, mio zio, che mi ha sempre seguito nell’arco di tutta la mia carriera, mi sono stati sempre vicino e non mi hanno mai fatto pesare troppo la distanza, non facendomi sentire mai solo. Poi è arrivata la mia compagna Noelia e ora abbiamo anche una bambina, Sofia. La famiglia è sempre stato un appoggio importante per me, insomma. Le cose che mi sono più mancate sono state le riunioni e le grigliate di asado con gli amici della mia città, ma col tempo ci ho fatto l’abitudine a vivere senza queste cose. Quando ritorno lì cerco di staccare da tutto e di sfruttare al meglio quest’opportunità”

E’ più complicato giocare in Argentina o in Italia?

“Sono due cose diverse. In Argentina si gioca su campi meno curati, con spazi minori, e con più pressione della gente addosso. In Italia è differente: giochi contro i calciatori migliori al Mondo. Ci sono squadre straordinarie come Inter, Milan, Juve, Roma. Le partite sono una festa, non c’è lo stress che c’è in Argentina. Si è più professionali in Italia, c’è una pressione sana. Essere apprezzato in Italia in un campionato così competitivo mi è costato tanti sacrifici e tanta fatica”

Ti piacerebbe un giorno tornare a giocare in Argentina?

“Mentirei se dicessi che ritornare a giocare in Argentina è una mia priorità. Nel mio paese molti non mi conoscono neanche e poi credo di poter giocare ancora molti anni in Europa. Oggi come oggi, sinceramente, non mi passa per la testa di tornare a giocare in Argentina. In ogni caso continuo a seguire sempre il calcio argentino ed in particolare il Talleres di Cordoba, di cui sono tifoso sin da bambino”.

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