1964: Gli europei di Francisco Franco

Nel Napoli più iberico della storia, scopriamo le curiosità, gli aneddoti, il modus vivendi della cultura spagnola

¡Hola!

Il calcio spagnolo oggi stradomina a livello di club, col Barcellona Campione d’Europa e il Siviglia vincitore della fu Coppa Uefa per la quarta volta nella sua storia. Un dato di fatto che contrasta con il digiuno delle Furie Rosse, reduci dallo stop brasiliano e ancora costrette a penare un pochino per la qualificazione alla fase finale di Euro ‘16. Molti tuttavia dimenticano quanto i club iberici fossero già cannibali tra fine ’50 e inizio ’60. L’epoca in cui Champions ed Europa League avevano i nomi dolci e romantici di Coppa Campioni e Coppa delle Fiere, per tacere dell’affascinante Coppa delle Coppe. Trofei che, nei loro primi anni di vita, vedono trionfare in larga misura compagini ispaniche: Real Madrid, Barça, Atlético, Valencia e perfino il Real Zaragoza in Coppa delle Fiere 1964 contro i Taronjes valenciani. Il culmine di tale momento magico per il fútbol español viene raggiunto proprio in quel ’64, quando la Nazionale, la Roja, fin lì priva di acuti tra Mondiali e Olimpiadi, ottiene il suo primo alloro internazionale vincendo gli Europei. Quegli Europei passati alla storia non solo per il successo sportivo in sé. Quegli Europei celebrati soprattutto come trionfo politico. Gli Europei di Francisco Franco.

COI RUSSI NON GIOCHIAMO!” – All’alba degli anni ’60 il Generalísimo si è ormai reso conto dell’impossibilità per la Spagna di restare nel suo isolamento,  datato dalla fine della Guerra Civil. Ci sono bellezze naturali da sfruttare (eccome!) grazie alla nuova realtà del turismo, con l’ingresso finalmente consentito nel Paese a investitori stranieri. Anche per questo, similmente all’Italia, la Península in quegli anni vive il suo milagro económico. L’apertura al mondo naturalmente è anche politica. Non solo attraverso l’ammissione all’ONU nel 1955, bensì anche tramite rapporti con le altre potenze occidentali in funzione chiaramente anticomunista. Ecco, i comunisti. I nemici giurati del Caudillo, quelli che vent’anni prima, insieme a tutte le altre forze antifasciste, hanno tenuto botta alla Falange prima di arrendersi nonostante il forte apporto dell’Unione Sovietica. E proprio con i sovietici Franco si rende protagonista di un clamoroso incidente diplomatico che macchia l’aperturismo appena inaugurato. Un focoso contenzioso che prende piede nel consesso più innocente: il calcio. Poco prima infatti la Real Federación Española ha deciso di prendere parte alla prima storica edizione del campionato europeo per Nazioni, nato dalla brillante idea del dirigente francese Henri Delaunay. Una manifestazione alla quale danno forfait clamorosamente Germania Ovest, Inghilterra e Italia, presenti invece i russi insieme a tutto l’Est. La Spagna supera gli ottavi eliminando la Polonia, ma ai quarti il sorteggio mette di fronte agli iberici Lev Jašin e compagni. Apriti cielo! Franco non vuole che l’URSS metta piede a Madrid, né tantomeno desidera una trasferta a Mosca per i suoi baldi eroi in rosso. Con loro, i condottieri del comunismo, non c’è nulla da dirsi né da spartire. Sebbene a malincuore, la Federcalcio spagnola rinuncia alla sfida con conseguente esclusione dal torneo. L’URSS andrà poi in Francia per la fase finale e vincerà il primo Europeo della storia battendo sul filo di lana la Yugoslavia. Per Franco, tuttavia, resta il peso della figuraccia e l’immagine leggermente sporcata del mondo della pedata spagnolo.

UN TRIONFO DIMENTICATO – Il dittatore si rende conto della piccola onta. La visibilità dell’Europeo, ancorché grezza, è stata recepita dalle Nazionali del Patto di Varsavia, e la possibilità di ritrovarsi in campo contro i russi e i loro satelliti è fortissima. Niente più veti, dunque. Arriva l’edizione 1964 e i sovietici sembrano veleggiare verso il bis asfaltando l’Italia agli ottavi e la Svezia ai quarti. La Spagna non è da meno: elude la Romania al primo turno poi ha la meglio col fiatone sull’Irlanda del Nord, dopodiché si sbarazza dell’Eire. Prim’ancora di arrivare al momento-clou Franco ha fatto pressioni sulla RFEF affinché si candidasse all’organizzazione della Final Four del torneo. Alla fine si arriva allo scopo: Madrid e Barcellona diventano città ospitanti di semifinale e finale. Il sorteggio accoppia l’URSS alla sorprendente Danimarca, volenterosa ma ancora lontana parente di quel collettivo frizzante e talentuoso apparso sulla scena una ventina d’anni dopo. Non c’è storia: Voronin, Ponedel’nik e Ivanov chiudono i giochi. Più tosto l’impegno per i padroni di casa: c’è la ritrovata Ungheria del futuro Pallone d’Oro Florián Albert. E infatti i magiari raggiungono i supplementari con l’altra stella, Ferenc Bene, dopo il momentaneo vantaggio di Chus Pereda. Lo spettro della monetina (quella che sarà amica degli italiani quattro anni dopo a Napoli …) viene cancellato a otto minuti dal 120’ grazie ad Amancio, uno dei pezzi da novanta della Roja. Una Nazionale nella quale il CT José Villalonga ha preferito non affidarsi agli anziani Puskas, Di Stéfano e Gento: niente campionissimi, solo giovani senza fronzoli e volenterosi di fare quadrato tra di loro. I valori aggiunti sono, appunto, il fiuto del goal del cannoniere Amancio e la classe sopraffina di Luisito Suárez, fresco di Coppa Campioni vinta insieme all’Inter. In porta c’è Iribar, bandiera dell’Athletic Bilbao, intorno al quale fanno mucchio Rivilla, Calleja e il capitano Olivella. Fusté e Zoco presidiano la mediana, Suárez detta i tempi e Pereda rifinisce. In attacco, oltre ad Amancio, il resto lo fanno Marcelino e Lapetra. Così gli spagnoli scendono in campo al Bernabéu, il 21 giugno 1964, contro i colossi dell’Est. In quei giorni però c’è grande attesa pure per altri motivi. Ci si chiede se anche Franco, il Caudillo, l’eroe della Spagna Una Grande Libre sarà presente nel tempio del Real Madrid. Oppure se marcherà visita, per non essere costretto a consegnare la Coppa nelle mani dei ‘compagni’ qualora vincessero. Russi o non russi, prima del fischio d’inizio il Generalísimo fa il suo ingresso accompagnato dalla moglie Doña Carmen e dal Vicepresidente del Governo Agustín Muñoz Grandes. Un’ovazione e l’urlo “Franco! Franco! Franco!” accompagnano l’arrivo del Capo, che ha comunque già raggiunto il suo obiettivo: dare all’Europa e al mondo l’immagine della nuova Spagna franchista forte, moderna e produttiva. Ora il Caudillo vuole vincere. Ma non è facile per i ragazzi di Villalonga. Pereda va a segno al 6’ su traversone di Suárez, tempo due giri di lancette e Chuisainov rimette le cose a posto auspice un liscio di Iribar. Il resto è una partita a scacchi, con i due portieri a cui manca solo una sedia e azioni bloccate a centrocampo. Il pubblico, che agli inni nazionali ha sportivamente applaudito i sovietici, è teso e sostiene i suoi beniamini per tutti i rimanenti minuti. L’extra time appare vicino, quando a 5’ dalla fine Pereda trova sull’out destro un pertugio da cui crossare e Marcellino si tuffa con tempismo perfetto: Jašin resta immobile a guardare la sfera infilarsi nell’angolino basso. È trionfo per le Furie Rosse, portate in trionfo dalla folla festante e premiate da Franco, così celebrato da Capitan Olivella: “Dedichiamo questa vittoria innanzitutto al Generalísimo Franco, che stasera è venuto a onorarci della sua presenza e incoraggiare i giocatori, i quali hanno fatto l’impossibile per offrire al Caudillo e alla Spagna questo eccezionale trionfo”. Il trionfo del Franchismo, celebrato dai quotidiani asserviti di allora nonché dai cinegiornali del NO-DO in cui ebbe fama imperitura la meravigliosa rete di Marcelino. Un successo che in effetti dà l’immagine della Spagna voluta da Franco. Nondimeno un successo dimenticato col passare degli anni. Per l’impronta propagandistica ricevuta. Per la militanza nella División Azul falangista del CT Villalonga. Per la scarsa importanza allora avuta dall’Europeo. E soprattutto perché, dopo la vittoria del Real nella Coppa Campioni 1966, il fútbol español imboccò i suoi anni più bui, tra sconfitte brucianti, poche vittorie e una Nazionale lontana dal gruppetto delle grandi potenze. L’esatto contrario di quanto accade oggi.

¡Hasta la próxima!

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