RENICA: "LA DIFESA DEL NAPOLI MI PIACE"
Alessandro Renica ha rilasciato un'intervista al CorriereDelloSport, ecco i passaggi più significativi: "Non mi sono piaciuti certi giudizi, certe critiche. Molte analisi le ho trovate assai superficiali. Quei 46 gol presi sono il risultati di fatti e di dinamiche diverse. Intanto, non parlerei di difesa ma di fase difensiva. Cosa, questa, che coinvolge tutta la squadra e non un solo reparto. Poi ci sono tre ragioni: una tattica, una fisica, l’ultima individuale. Quando dico tattica, intendo dire che nell’ultima stagione, molto più che nella precedente, gli avversari hanno capito come far male al Napoli. Hanno imparato il suo modo di giocare e hanno sfruttato certi meccanismi non sempre perfetti. Non è forse vero che molti gol il Napoli li ha presi da centrocampisti che hanno trovato un buco al centro e si sono inseriti con i tempi giusti?. Problemi fisici. Mi riferisco agli infortuni e a quello di Britos in particolare, ma anche alla fatica, fisica e mentale che il Napoli ha pagato in nome e per conto della Champions. Il Napoli è stato fantastico, ma quello stress l’ha pagato a caro prezzo. Il terzo motivo: gli errori individuali. Sui calci piazzati il Napoli ha sofferto posizioni a volte non esatte, ma anche mancanza di centimetri in area di rigore. L’esempio più lampante è stato il ritorno con il Chelsea. Ogni volta che arrivava un pallone alto in area di rigore il Napoli era terrorizzato. Avesse avuto là in mezzo più centimetri e più giocatori abili di testa, beh, il turno l’avremmo passato noi. La difesa l’apprezzo. Mi piace. Non discuto gente che si chiama Cannavaro, Campagnaro, Aronica. E sono certo che anche Fernandez è un buon giocatore. Tutto è migliorabile, ma a patto che i nuovi giocatori siano davvero migliori rispetto a quelli che ci sono già. Da grande appassionato del pallone dico che il Napoli avrebbe potuto vincere lo scudetto due stagioni fa e che quest’anno non era secondo alla Juve che l’ha vinto. Non avesse pagato così tanto la fatica della Champions…".
(Umberto Tessier)