I 44 GIORNI DI BRIAN CLOUGH

Partorito dalla penna di David Peace e divenuto film grazie a Tom Hooper, Il Maledetto United racconta in forma romanzata il rapporto breve e travagliato, datato 1974, tra il Leeds United e uno dei più grandi allenatori inglesi. Per le cui imprese non manca però spazio

Possono quarantaquattro dannati giorni entrare, nonostante tutto, nella leggenda? Può un periodo così breve, ancorché intenso, divenire materia letteraria prima e cinematografica poi? Ebbene sì, è possibile. Soprattutto se ciò prende piede in quel magnifico spettacolo senza fine ch’è il calcio, sempre pregno di storie di cui parlare tutta una vita. Come quella di un certo Brian Howard Clough. Per chi non lo sapesse, quest’uomo è stato uno dei più grandi allenatori che l’Inghilterra, Patria della palla-al-piede, abbia mai avuto, tanto da finirne nella Hall of Fame. Un mostro della panchina, un genio: ‘The Football Genius’ l’hanno chiamato. Un asso capace di portare in paradiso due club di provincia, il Derby County e il Nottingham Forest. Un personaggio che tuttavia, in una carriera costellata da grandi risultati, ha conosciuto il suo fiasco. Un fiasco lungo, appunto, quarantaquattro giorni. Tanto dura infatti la sua avventura, dal 30 luglio al 12 settembre 1974, sulla panchina del glorioso Leeds United. O meglio, del maledetto United. Eccolo, Il Maledetto United (The Damned United), l’opera che racconta quei terribili e tormentati giorni di Clough alla guida dei Whites. Una storia divenuta romanzo nel 2006 dalla penna dello scrittore David Peace, insegnante con l’hobby della letteratura. Romanzo che ha poi ispirato l’omonimo film, girato nel 2009 e diretto da Tom Hooper con Michael Sheen nel ruolo di Clough.

LE IMPRESE DI UN ANTIPATICO – Abbiamo usato la parola ‘romanzo’ non a caso. L’opera di Peace difatti non può definirsi una biografia sensu stricto, bensì un racconto dove elementi romanzeschi, tipici della narrativa classica, si fondono con la realtà. E tale realtà non si concretizza soltanto nella rievocazione di quel maledetto mese e mezzo a Elland Road, la casa del Leeds. La sfortunata esperienza s’intervalla a flashback delle precedenti avventure di Clough da manager. Avventure memorabili e felici. Per esempio la prima, all’Hartlepool United, a soli 29 anni, dopo aver dovuto appendere anzitempo gli scarpini al chiodo per un guaio al crociato anteriore del ginocchio (251 reti in 274 presenze tra Middlesbrough e Sunderland: niente male!). I Pools rischiano di retrocedere dalla quarta serie ai dilettanti, ma ‘Cloughie’ compie il miracolo, spalleggiato dal suo eterno amico e vice Peter Taylor, compagno di squadra al ‘Boro’. L’impresa convince i dirigenti del Derby County a ingaggiarlo. Siamo nel 1967 e i Rams, tra i fondatori storici della Football Association, non giocano più in First Division da una vita. Ebbene, Clough scrive con loro una delle favole più belle del football, dapprima riportandoli in massima serie, poi facendogli vincere il primo, storico titolo di Campione d’Inghilterra nel 1972, infine trascinandoli in Coppa Campioni fino alle semifinali. Fino a quando cioè arriva l’ostacolo Juventus. Un ostacolo che non verrà superato, e non per manifesta inferiorità, ma per presunti e probabili mezzucci (tanto per cambiare…) grazie ai quali la Signora si assicura il passaggio alla finale. Il che ovviamente non va giù a Clough, focoso, antipatico, pieno di sé, ma moralmente e calcisticamente incorruttibile. E tuttavia sboccato, al punto che nel dopogara della semifinale d’andata con i bianconeri vomita l’anima contro i giornalisti italiani: “Non parlo con dei maledetti bastardi truffatori!”. Addirittura arriva a mettere in dubbio l’impegno e l’abnegazione mostrati dai nostri soldati durante la Seconda Guerra Mondiale. Per il ‘Times’ e il ‘Guardian’ è troppo: così facendo si scredita l’immagine del calcio inglese nel mondo. La stampa italiana gli dà del matto. A creargli grattacapi peraltro ci pensa il rapporto complicato con ‘Zio’ Sam Longson, il boss del Derby. Certo, ci mette del suo anche lui rifiutandosi di andare in ritiro senza la famiglia, trattando per fior di sterline l’acquisto di giocatori pur non autorizzato dalla dirigenza, e non facendo ricorso al turnover prima del match di Torino contro i bianconeri. Ma i giocatori lo amano, si identificano in lui, nel suo gioco innovativo e nei suoi discorsi carichi di enfasi, di verve, di forza estentorea. Sentono la simbiosi in un uomo che predica nel calcio attributi, impegno e lealtà. Fors’anche così si spiega il suo odio profondo per un altro uomo, un’altra leggenda made in England nel bene e nel male: Don Revie, l’indiscusso generale del Leeds United. Il tecnico con il quale i Whites trionfano in Inghilterra e in Europa, ma non in maniera ortodossa, anzi. Falli e scorrettezze ai limiti del regolamento, furbizie, proteste, mancanza di stile, appelli alla sfortuna: questo è il Maledetto Leeds. Ossia, tutto ciò che a Clough non piace dello sport più popolare al mondo. Maledetto è per lui sin da quando, in una partita di FA Cup del ’68, lo United ha battuto il County e Revie non ha osato andare a salutarlo a fine partita. L’astio nei confronti degli spocchiosi campioni di Leeds parte tutto da lì.

LEEDS, NON MI AVRAI MAI!” – Nessuno si meraviglia, dunque, se nello Yorkshire si storce il naso quando, a fine luglio ’74, lo United, fresco Campione d’Inghilterra, annuncia l’arrivo in panchina di Clough al posto di Revie chiamato al capezzale dell’Inghilterra reduce dalla mancata qualificazione ai Mondiali di Germania. Il nostro si è polemicamente dimesso dal County nell’ottobre dell’anno precedente e ha racimolato una puntatina poco felice nel Brighton & Howe, club di Serie C. Tuttavia anche ciò fa parte di quel passato che ogniqualvolta riemerge nei flashback alternati al presente. Ed eccolo il presente, l’elemento costituente il nucleo del romanzo. Un presente amaro, duro, aspro. Il Leeds odia Brian e viceversa, il matrimonio non s’avrebbe da fare, invece si fa. Anche perché a ‘Cloughie’, si sa, le sfide impossibili sono sempre piaciute: “Il Leeds United ha vinto il campionato ma non l’ha vinto bene, non ha saputo indossare bene la corona. Secondo me poteva essere un po’ più amato, un po’ più simpatico, ed è questo che voglio cambiare. Voglio portare nell’ambiente un po’ più di calore, un po’ più di onestà e un po’ più di me”. Vuole rivoltare il Leeds come un calzino, trasformarlo in una squadra corretta, disciplinata, capace di vincere mettendo in mostra un calcio all’altezza. Pazienza se alla fine, poi, si possa parlare solo di lui. Però non fa nulla per accattivarsi la simpatia di una camerata ancora fedele a Papà Don. Al primo giorno di lavoro getta subito la maschera: “Signori, tanto vale che ve lo dica subito. Voialtri potete anche aver vinto tutti i trofei nazionali e qualcuno di quelli europei, ma per quanto mi riguarda la prima cosa che potete fare per me è prendere tutte le vostre medaglie e tutte le vostre presenze in nazionale e tutte le vostre coppe e tutte le vostre targhe e buttarle nel più grosso fottuto cestino che riuscite a trovare, perché non ne avete vinta nemmeno una onestamente. Lo avete fatto sempre giocando sporco, cazzo”. Viva la sincerità! La stessa mostrata quando rinfaccia a John Giles e al temibile capitano Billy Bremner tutta la loro mancanza di cavalleria in campo. Ma quel fantasma, il fantasma dell’ex allenatore, aleggia ancora negli stanzini, nei corridoi, sugli spalti di Elland Road. I tifosi non vogliono Clough, i giocatori non acquisiscono nemmeno un unghia di piede di quell’aplomb chiesto dall’adrenalinico manager. Rovinano i suoi piani, arrivano finanche a sconvolgere gli allenamenti trasformandoli in risse e facendosi beffe del nuovo arrivato. In sei settimane il Leeds riesce nell’impresa di perdere la Community Shield, la Supercoppa inglese, per mano del Liverpool, e di raccogliere quattro miseri punti nelle prime cinque giornate di campionato. Un inizio terrificante, inatteso ma non troppo, forse. Cert’è che, per quanto immerso nella sua innata sicumera, il buon Brian vive quei quarantaquattro giorni tormentato dai rimorsi della scelta e dell’aver lasciato solo a Brighton il suo amico di sempre, Peter. E per dimenticare le tensioni, le scarica in fumo e alcool nella casa in affitto che lo ospita a Leeds. Il finale è scritto: è addio, senza alcuna discussione. “Loro sono la sua squadra”, dice di Revie, “Il suo Leeds. Il suo sporco maledetto Leeds e lo saranno sempre. Non la mia squadra. Mai. Non la mia. Mai”. Prima di sbattere la porta, però, fedele al suo stile, Clough spara la richiesta: una buonuscita di 25.000 sterline, i pagamenti delle imposte sul reddito per tre anni e una Mercedes. “Per quarantaquattro giorni di lavoro? Si levi dai coglioni! Chi cazzo si crede di essere?” “Brian Clough […] Brian Howard Clough”. Novantadue minuti di applausi, come minimo.

FILM DA NON PERDERE – Quando il libro viene pubblicato nell’estate del 2006, tra i suoi lettori più assidui c’è anche il grande regista inglese Stephen Frears. La lampadina gli scatta quasi subito: dall’opera letteraria alla pellicola. Alla fine però a dirigere le operazioni sarà Tom Hooper. Michael Sheen, già applaudito nel ruolo di Tony Blair in The Queen dello stesso Frears, impersona alla perfezione il protagonista, e non solo per la somiglianza fisica. Arroganza, collera, decisionismo, fissazioni, ma al tempo stesso umanità, buonsenso, ambizione, voglia di vincere: tutto ciò che è Clough emerge nella recitazione. Qualcuno ha avuto da ridire, già all’uscita del romanzo, sulla veridicità del ritratto che viene fuori del ‘Football Genius’. Non è facile ricostruire la figura di un personaggio realmente esistito, nel contorno singolare della fiction letteraria, figuriamoci sul grande schermo. Ma l’immagine di Clough in celluloide piace. E rivela tutte le sue debolezze umane nella penultima scena, quella del faccia a faccia televisivo con l’acerrimo nemico Revie. Lì dove il vecchio Don lo sbianca in volto accusandolo di essere l’artefice dei mali del Leeds. Clough rimane del mutismo, non prima però di lanciare l’ennesima sfida: “Vedremo dove arriveremo nei prossimi anni”. Il libro non lo dice, ma il film, concludendosi, sì: la storia farà il suo corso. Revie fallirà in Nazionale e andrà a svernare senza gloria in Medio Oriente. Clough verrà assunto poco tempo dopo da un altro club di provincia, il Nottingham Forest. E lì darà vita, di nuovo insieme al suo amicone Taylor, a una nuova favola: Campione d’Inghilterra nel ’78, appena promosso in First Division, e bi-Campione d’Europa nel ’79 e nell’80. Ma questa è un’altra, bellissima storia.

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